Draghi a Palazzo Chigi. Sogno proibito di Renzi per liberarsi di Conte. Super Mario è di nuovo su piazza. E l’ex rottamatore lo vede premier

Che sia stata l’ennesima provocazione dell’ex rottamatore o un reale auspicio non è dato sapere ma la notizia è di quelle che si danno con lo scopo di farla girare. Si narra che nei corridoi di Palazzo Madama Matteo Renzi si sia lasciato sfuggire un I have a dream. Il sogno in questione è, non potendo andarci lui, avere Mario Draghi a Palazzo Chigi. Sì proprio super Mario, che ieri ha tenuto l’ultima riunione del Consiglio direttivo della Bce e l’ultima conferenza stampa in veste di presidente della Banca centrale europea. Che Renzi e Giuseppe Conte siano ai ferri corti è cosa nota.

ALLEATI COLTELLI. Il premier non ha mai digerito la tempistica con cui il senatore ha tenuto a battesimo Italia viva all’indomani della formazione del governo. Non tollera la sua corsa a piazzare bandierine sui provvedimenti, i suoi distinguo e i continui attacchi ai suoi ex compagni di partito che rischiano di indebolire il fronte anti-Salvini e dunque le ragioni profonde per cui questo governo è nato. E teme che possa piazzare mine lungo il cammino della manovra in Parlamento. E, in ultima analisi, Renzi vede Conte come un rivale nella conquista dell’elettorato moderato di centro.

“Devono stare sereni tutti…”, ha dichiarato il premier mandando un messaggio agli alleati e facendo il verso a Renzi. Ma Conte è il primo a non stare sereno e l’ex segretario del Pd gli fornisce conferma lanciando la candidatura di Draghi. Che potrebbe essere chiamato, nel sogno renziano, a sostituire l’avvocato pugliese prima della fine della legislatura. Che questo governo possa arrivare indenne alla scadenza naturale nell’attuale compagine pare cosa difficile agli occhi dei più. Draghi, peraltro, continua a non rispondere alla domanda su cosa farà dal primo novembre, scaduto il suo mandato a Francoforte. A chi lo interroga sulla possibilità che entri in politica o che possa correre per il Quirinale nel 2022 risponde con una battuta: “Davvero non so. Chiedete a mia moglie. Spero almeno lei lo sappia”.

Quando prima dell’estate era aperta la caccia al presidente della Commissione Ue è stato fatto anche il suo nome. “Pur onorato, non disponibile”, fece sapere. Ma che dopo la Bce possa ritirarsi a vita privata o limitarsi a recitare il ruolo di ospite d’onore a convegni e tavole rotonde non ci crede nessuno. L’ex studente del Massimo, la severa scuola dei gesuiti della capitale, ed ex allievo di Federico Caffè, dovunque è stato, ha lasciato il segno. Nato il 3 settembre del 1947 a Roma, Draghi vanta un ricco curriculum di esperienze in Italia e all’estero. Dal dottorato conseguito al Mit di Boston (suo mentore Franco Modigliani) alla carica di direttore esecutivo alla Banca mondiale, da direttore generale del Tesoro (dove ha governato la difficile partita delle privatizzazioni) a vicepresidente della Goldman Sachs.

E ancora: da governatore della Banca d’Italia – dove è succeduto alla gestione opaca del predecessore Antonio Fazio – alla guida della Bce. E da numero uno dell’Eurotower ha costruito una rete, di cui il quantitative easing è la bandiera, per evitare che banche e imprese in Europa venissero travolte dalla recessione. Scelte che gli sono costate anche pesanti critiche, soprattutto in Germania. L’uomo del whatever it takes, come è stato soprannominato per la frase da lui pronunciata nel luglio 2012, assicurando che la Bce “è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro”, oggi osserva che in Italia la musica è cambiata. “Tutti sanno e affermano che l’euro è irreversibile. I dubbi ipotetici che c’erano in una parte della governance ora non ci sono più”, dice. Chissà se questo potrà convincerlo a gettarsi nella mischia. Lui che è uno abituato, per sua stessa ammissione, a “non mollare mai”.