Draghi al bivio: o fugge mantenendo la parola data o resta premier perdendo la faccia

Draghi al bivio: o fugge o perde la faccia. La nuova scissione dei 5 Stelle potrebbe blindare il premier a Palazzo Chigi

Draghi al bivio: o fugge o perde la faccia. Ripartenza o addio. Oggi il premier Mario Draghi dovrà scoprire le carte e dire al Parlamento, al Quirinale e all’Italia intera cosa intende fare del Governo e del Paese. Ma qualunque decisione prenderà, per lui sarà una sconfitta.

Nel caso in cui scegliesse di rimanere – qualora il M5S di Giuseppe Conte dovesse negargli il suo appoggio – Draghi sconfesserebbe quanto detto in più occasioni, ovvero che senza i Cinque Stelle il Governo non esiste e che non è concepibile altro Esecutivo che quello attuale.

Ma anche nella situazione in cui, di fronte a una maggioranza bulgara in Parlamento, dovesse andar via Draghi si assumerebbe la responsabilità di fare uno sgarbo alle Camere, al presidente della Repubblica e al Paese in una situazione di emergenza economica e sanitaria.

La scissione M5S per blindare Draghi

Forse potrebbe salvare la faccia se, optando per la ripartenza, ci fosse un’ulteriore scissione tra i parlamentari del Movimento, lasciando fuori solo quelli che rimangono con Conte. Questo gli permetterebbe di sostenere di avere ancora l’appoggio della maggior parte del M5S e che la situazione della sua maggioranza è cambiata di poco.

Ma il sentiero è stretto, strettissimo. Draghi parlerà mercoledì alle 9,30 a Palazzo Madama. Giovedì la palla passerà alla Camera. Il timing al Senato prevede anche una pausa per la consegna del discorso del presidente alla Camera. L’Aula di Palazzo Madama riprenderebbe intorno alle 11 con la discussione generale di circa 5 ore.

Solo dopo inizierebbe la chiama per il voto. Ma non è scontato che Draghi decida di tornare al Senato per ascoltare il dibattito.

Dopo il passaggio alla Camera, l’ex banchiere, senza segnali chiari dai partiti, potrebbe prendere la via del Colle per rassegnare le dimissioni, questa volta irrevocabili. In questi giorni dai partiti questi segnali non sono arrivati.

Fatta eccezione per Pd, Italia viva e la formazione guidata da Luigi Di Maio – draghiani di ferro – è ancora caos dalle parti del M5S e dei partiti del centrodestra di Governo.

Le incognite della politica

Nel Movimento è in corso una resa dei conti tra governisti e ortodossi che non vogliono essere più complici di questo Governo. Idem dalle parti di Forza Italia e Lega. Tanto Matteo Salvini quanto Silvio Berlusconi, dietro la strategia concordata di addossare tutte le responsabilità ai Cinque stelle, non hanno sciolto il dilemma se proseguire con l’esperienza del Governo Draghi – come al leader di FI hanno suggerito Fedele Confalonieri e Gianni Letta e come al leader leghista suggeriscono di fare i governatori del Nord e il ministro Giancarlo Giorgetti – o se rompere e andare subito alle urne.

Fatto sta che riescono a strappare un incontro col premier in serata a Palazzo Chigi. Chiusi a Villa Grande, residenza romana di Berlusconi, i leader del centrodestra avevano espresso tutto il loro disappunto per il fatto che Draghi, prima di salire al Colle in mattinata, avesse visto il numero uno del Pd, Enrico Letta.

“Il premier – dichiarano – non può gestire una crisi così complessa confrontandosi solo con il campo largo di Pd e 5 Stelle”. In serata Salvini, Antonio Tajani, Maurizio Lupi e Lorenzo Cesa salgono a Palazzo Chigi. Lega, FI, NcI e Udc sono “assolutamente coesi” nel sostenere, viene riferito, che “sette dei nove punti” chiesti dal Movimento Cinque Stelle sono “irricevibili”.

Nel mirino anche il Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei Cinque Stelle. Dopo il faccia a faccia con le destre si vociferava in serata di un vertice notturno del leader dei 5S con il premier o almeno di un colloquio telefonico tra i due. Chissà che la notte porti consiglio.