di Riccardo Galli per Blitz quotidiano
Lavoro, pubblica amministrazione e fisco. Legge elettorale a parte, sono tre gli obiettivi che il premier in pectore Matteo Renzi si è dato e ha dato al suo nascente esecutivo. Obiettivi chiari, annunciati nella conferenza stampa seguita all’incontro con Giorgio Napolitano in cui Renzi ha ricevuto l’incarico, e con una scadenza altrettanto chiara: da realizzare nei prossimi tre mesi, nei fatidici primi 100 giorni.
Se chiare, anzi chiarissime sono però le cose da fare, meno è il come farle. Tra il dire e il fare esiste infatti il famoso “mare”, rappresentato questa volta da voti e soldi. I voti che vanno trovati in Parlamento per fare le riforme e i soldi, i fondi che vanno individuati ed indicati per finanziarle.
Sul fronte lavoro, il primo obiettivo indicato dall’ormai ex sindaco di Firenze, la volontà di Renzi è quella di rendere più semplice e soprattutto meno onerosa per le imprese l’assunzione dei giovani. I percorsi per arrivare a questo traguardo sono almeno due: il contratto unico a tutele crescenti e/o gli sgravi fiscali come quello dell’Irap. Due strade non necessariamente alternative e forse complementari.
L’idea di fondo è quella indicata nell’ormai famoso Jobs Act, con la riduzione delle varie forme contrattuali atipiche e precarie ad un solo contratto di inserimento, a tempo indeterminato e a tutele, appunto, crescenti. In sostanza il famoso contratto unico ideato da Tito Boeri e Pietro Garibaldi che prevederebbe la licenziabilità del dipendente nei primi tre anni, accompagnata da garanzie minori in quanto a welfare e retribuzione anch’essa minore.
E poi gli sgravi, con la detassazione totale ai fini Irap e Irpef per tutte le assunzioni di giovani al di sotto dei 30 anni. Attraverso un combinato disposto delle due linee guida si arriverebbe a rendere l’assunzione dei giovani meno costosa per le aziende, e si metterebbero i giovani nelle condizioni di avere un lavoro, e un reddito, più garantito di quanto non accada oggi.
Obiettivo numero 2 la pubblica amministrazione. P.A. che, nella testa del neo premier, sarebbe da affrontare ed attaccare almeno da due fronti: quello dell’efficienza e quello delle retribuzioni. Il mare magnum delle società partecipate, che Renzi in quanto sindaco ben conosce, deve assolutamente essere rivisto. Tutta la P.A. dovrebbe poi secondo i piani del segretario Pd essere ricondotta a forme di diritto ed operatività assimilabili a quelle di aziende private.
Una vera e propria rivoluzione copernicana in un mondo che dell’efficienza ha sinora allegramente fatto a meno. Ma sulla P.A. ad un intervento che si può definire dal basso, se ne deve necessariamente accompagnare uno dall’alto. Un intervento che parta cioè dalle retribuzioni dei top manager pubblici. Dirigenti che hanno uno stipendio medio di 150 mila euro, si tratta delle retribuzioni dei circa 300 direttori generali di province e regioni.
Una retribuzione più alta, solo per fare un esempio, di quanto spetti al capo di gabinetto del ministro degli esteri britannico. Una sforbiciata del 15/20% sulle retribuzioni più alte, passando magari anche da contratti a tempo indeterminato a contratti a termine, frutterebbe allo Stato un risparmio di quasi un miliardo ottenendo, allo stesso tempo, anche un discreto ritorno in termini elettorali.
Terzo punto da affrontare la mai dimenticata questione tasse, troppe e troppo pesanti nel nostro Paese. Almeno per chi le paga. L’obiettivo di Renzi sarebbe in questo caso quello di alleggerire il conto per i redditi medio bassi, quelli al di sotto dei 1.500 euro. Un obiettivo da centrare attraverso un aumento delle detrazioni o una limatura delle aliquote Irpef. Una mossa che, se realizzata, porterebbe benefici anche sul fronte consumi, più soldi in tasca si traduce infatti, almeno solitamente, in maggiore possibilità di spesa.