Ecco perché il voto degli iscritti Cinque Stelle che ha salvato il ministro dell’Interno Salvini dal processo sul caso Diciotti, potrebbe ritorcersi contro il leader della Lega

Ostenta sicurezza il leader della Lega, Matteo Salvini, sul caso Diciotti

Ostenta sicurezza il leader della Lega, Matteo Salvini. “Io preferisco la giuria popolare, piuttosto che le giurie di qualità che truccano i risultati, come a Sanremo”, si è persino lanciato in una metafora canora confidando nell’esito della consultazione degli iscritti M5S sulla piattaforma Rousseau, chiamati a pronunciarsi sull’autorizzazione a procedere per sequestro di persona in relazione alla vicenda della nave Diciotti richiesta al Senato nei suoi confronti dal Tribunale dei ministri. E a ragion veduta visto l’esito della votazione online: quasi il 60% ha detto no al processo.

FUGA DAL GIUDIZIO – Ma non è tutto. Tranquillizza sulla tenuta della maggioranza (“Per me il Governo non rischia, a prescindere da come vada”). Riferimento al verdetto, non solo della consultazione online della base Cinque Stelle, ma anche e soprattutto a quello della Giunta delle autorizzazioni di Palazzo Madama che si pronuncerà oggi sul caso. Affidando il suo messaggio urbi et orbi ad una serie interviste apparse ieri, in contemporanea, sulle pagine di Repubblica, Stampa e Messaggero. Eppure, nonostante lo scampato pericolo con il sigillo finale dell’alleato di Governo, archiviati i problemi giudiziari – il voto della stessa Giunta e dell’Aula del Senato sembra a questo punto solo una formalità – per Salvini potrebbero iniziare quelli politici. “Che succederebbe se Conte, Di Maio e Toninelli si facessero processare?”, si chiede un autorevole esponente M5S, alludendo ad un possibile scenario che, d’altra parte, è lo stesso Salvini a non sottovalutare. Non a caso, nel profluvio di interviste di ieri, il ministro dell’Interno ha lanciato un messaggio chiaro sull’epilogo che un’eventuale richiesta di autorizzazione a procedere recapitata anche al premier, Giuseppe Conte, all’altro vice, Luigi Di Maio, e al ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, dovrebbe avere. “Io mi auguro che anche loro si avvalgano del giudizio parlamentare – mette le mani avanti Salvini -. Sarebbe assurdo se ci fossero due trattamenti distinti per il ministro dell’Interno, da una parte, e per il premier e l’altro vicepremier, dall’altra”. Ma lo scenario che il vicepremier vorrebbe evitare è, al momento, tutt’altro che improbabile. All’indomani della lettera al Corriere della Sera con la quale il leader della Lega, dopo aver invocato più volte il giudizio, ha annunciato di volersi avvalere dello scudo previsto dall’articolo 96 della Costituzione, in molti tra gli alleati non hanno preso per niente bene la retromarcia de ministro. “Al posto di Salvini mi farei processare”, era stata, del resto, la posizione espressa da diversi esponenti M5S. Tradotto, Conte, Di Maio e Toninelli potrebbero decidere di non seguire l’esempio del segretario del Carroccio.

RISCHIO BOOMERANG – La decisione della Giunta del Senato di trasmettere alla procura di Catania la memoria difensiva dello stesso Salvini, contenente le lettere con le quali i colleghi di Governo hanno condiviso la responsabilità politica della scelta di ritardare lo sbarco dei migranti della Diciotti, ha messo in moto la Procura di Catania che ha iscritto Conte, Di Maio e Toninelli nel registro degli indagati. E se anche per loro, come avvenuto con Salvini, dovesse arrivare la richiesta di archiviazione, il Tribunale dei ministri potrebbe comunque chiedere nei loro confronti l’autorizzazione a procedere alla Camera d’appartenenza (per il premier che non è parlamentare deciderebbe Montecitorio). Rinunciando allo scudo e accettando di farsi processare, Conte, Di Maio e Toninelli metterebbero Salvini in una posizione molto scomoda. Offrendo all’opinione pubblica l’immagine di un ministro che scappa dal processo a differenza dei suoi colleghi di Governo. Un’arma straordinaria da utilizzare per recuperare terreno nella campagna elettorale per le Europee.