Mentre a Miami, la delegazione di Zelensky discute con gli americani la delicata questione dei confini, punto chiave e tra i più controversi della trattativa di pace, sembra ormai evidente a tutti che non sia più il se, quanto piuttosto il quando, la vera incognita che separa il governo di Kiev dalla firma del Piano di Trump. In altre parole, dalla resa dell’Ucraina – e dalla disfatta dell’Europa e della Nato – alla Russia.
Non c’è da sorprendersi, d’altra parte, se i sedicenti leader Ue, con i vertici del Patto atlantico (esclusi gli Usa), stiano cercando in tutti i modi di gettare benzina sul fuoco. Finché c’è guerra, per loro, c’è ancora speranza. Sempre meglio che giustificare ai propri elettori la fallimentare scommessa sulla vittoria dell’Ucraina oltre al folle – e già impopolare – piano di riarmo che, se scoppiasse davvero la pace, non saprebbero più come giustificare. Ieri, per dire, è toccato al capo di Stato maggiore italiano, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, in veste di presidente del Comitato militare della Nato, tenere alta la tensione. “Stiamo studiando tutto sul fronte informatico, siamo in un certo senso reattivi – ha detto, intervistato dal Financial Times. Essere più aggressivi o proattivi invece che reattivi è qualcosa a cui stiamo pensando”. Usando espressioni come “attacco preventivo” che potrebbe però essere considerato “un’azione difensiva”.
Un ossimoro che non è sfuggito al Cremlino: “Riteniamo che la dichiarazione di Cavo Dragone sui potenziali attacchi preventivi contro la Russia sia un passo estremamente irresponsabile, che dimostra la volontà dell’alleanza di continuare a muoversi verso un’escalation”. Insomma, l’ennesimo tentativo di sabotare i negoziati di pace in corso. Ma derubricato come “una questione che deve seguire la Nato” e che “non tocca a noi”, dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Ma sarebbe appena il caso di ricordargli che, accettando il suo ruolo di governo, ha giurato sulla Costituzione italiana e non sul Trattato dell’Alleanza Atlantica.
La stessa Costituzione che, all’articolo 11, stabilisce che “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa e di risoluzione delle controversie internazionali”. Dovrebbe saperlo da solo. Ma con il ministro del diritto internazionale che “conta fino a un certo punto” repetita iuvant.