A Virgì, Roma nun se merita sti scribani. Lo so, fossi davvero buono a comporre i sonetti potrei dirlo meglio, ma non ho la vena poetica di tanti colleghi giornalisti, e mai potrei raggiungere le vette della loro fantasia nell’attribuire a questa sindaca ogni tipo di disastro, preferibilmente se lasciato da chi c’era prima di lei. Nella Capitale d’altra parte non manca nulla: le amministrazioni di Sinistra, di Destra e marziane hanno spolpato le casse pubbliche, dimenticato le periferie e chiuso un occhio e più spesso tutti e due davanti a privilegi e ruberie. La città è dunque malandata, anche perché ai tempi di tanto scempio i giornali avevano altro da fare che massacrare il Campidoglio, a meno che qualche delibera andasse di traverso agli editori-costruttori della stampa locale, o il primo cittadino non fosse malauguratamente del Pd o dei suoi antenati, turbando in questo modo la familiarità politica del grosso dei redattori della cronaca cittadina dei maggiori quotidiani nazionali. Ieri così sul Corsera è apparso quello che veniva annunciato come l’ennesimo ritratto della Raggi, e invece era solo un copia-incolla di luoghi comuni e balle delle opposizioni, che nel caso di questa sindaca spaziano dai partiti ansiosi di tornare alle vecchie mangiatoie sino ai salotti radical chic, dove quelle stesse mangiatoie recapitavano i soldi dei romani. Spezzare quel sistema è naturale che in certi ambienti non sia popolare. Quindi viva la libera stampa, padrona di dire le fesserie che vuole. Ma la storia della Raggi è un’altra. E i romani che non si fanno abbindolare lo sanno.
L'Editoriale