Cantano vittoria come se avessero ottenuto chissà cosa, ma l’Italia che comincia a riaprire dal 26 aprile non è un successo delle destre. Con le solite balle a uso elettorale, Salvini & company da ieri stanno ingolfando i social per intestarsi il ritorno alla normalità dopo l’incubo della pandemia. Ma in realtà tutti, ma proprio tutti – a cominciare dal ministro Speranza fatto passare vigliaccamente per nemico pubblico di ristoratori, attori e personal trainer – non vedevano l’ora di allentare le restrizioni anti-Covid.
La differenza tra chi accelerava e chi chiedeva di aspettare almeno la prima fase della campagna vaccinale sta nel fatto che i primi se ne fottevano delle centinaia di morti giornaliere e della certezza matematica di far scoppiare gli ospedali, mentre i secondi più responsabilmente puntavano a una data compatibile con la stabilizzazione dei contagi e un numero finalmente significativo di vaccinati.
Così si è arrivati al 26 aprile, data che semmai certifica la sconfitta delle pretese sconsiderate di chi ha voluto aprire l’estate scorsa le discoteche, e da allora non avrebbe più richiuso niente, anche se quella decisione scellerata favorì la terza ondata di una strage che ad oggi solo in Italia conta centodiecimila vittime. Per questo il governo si è preso un’importante responsabilità stabilendo quando potremo tornare a teatro, in palestra o a cenare fuori, ma di fronte a questa scommessa ora tocca a noi scegliere che fare.
La strada più facile è la stessa di chi gridava di riaprire mentre le persone morivano a grappoli, soffiando sull’esasperazione delle piazze. Dalla data convenuta, ma anche prima, si abbassano le mascherine, ci si assembra davanti ai pub, si prendono d’assalto tutti insieme le vie e i centri commerciali. In alternativa c’è il percorso più difficile: continuare a usare la massima prudenza, evitare ogni genere di calca e se possibile adottare comportamenti individuali persino più rigorosi.
Niente liberi tutti, insomma. Se prevarrà il primo caso allora che Dio ce la mandi buona, mentre nel secondo è probabile che riusciremo a convivenza col virus, senza necessità di nuove limitazioni, e allora ci sarà davvero di che festeggi