Otto anni di carriera meritano gli applausi che nella notte gli americani hanno tributato a Barak Obama. A Chicago, sua culla politica, il presidente ha tenuto un discorso che non è certo il suo testamento politico. Con l’uscita di scena della Clinton i Democratici sono al momento a corto di leader e l’inquilino in partenza dalla Casa Bianca avrà ancora un ruolo, forse come primo “first husband” di una Michelle Obama a cui tanti pensano per la prossime elezioni. Questi applausi, per certi aspetti meritati, non coprono però le grida di un mondo che in questi otto anni ha pagato caro anche per errori degli Usa. Terrorismo, conflitti locali, tensioni internazionali sono all’ordine del giorno tanto quanto lo erano all’epoca di George W. Bush. È fallita invece una gestione accettabile della globalizzazione. Negli Stati Uniti, esattamente come in Europa (che non a caso ha mandato a casa tutti i leader, da Cameron a Hollande, mentre la Merkel rischia) il ceto medio è stato massacrato da un sistema che sforna super ricchi o poverissimi. Per questo ha vinto Trump, il miliardario diventato paradossalmente speranza di riscatto di un’America che Obama ha fatto sentire povera.
L'Editoriale