L'Editoriale

Autonomia solo se fa comodo

Il governo delle destre vuole l'autonomia, ma ogni volta che le Regioni si muovono in maniera indipendente impugna le loro decisioni.

Autonomia solo se fa comodo

Il governo Meloni è il più reazionario della storia repubblicana. Non per una singola riforma, ma per l’architettura di potere che sta costruendo. Predica l’autonomia differenziata, sbandiera il federalismo come modernità istituzionale, ma impugna sistematicamente ogni legge regionale che non rientri nel proprio perimetro ideologico. Toscana, Sicilia, Trentino: tre casi, tre schiaffi, tre rivelazioni. L’autonomia va bene solo se serve a rafforzare il centro. Va male se le Regioni iniziano a essere laboratori di diritti.

In Toscana, una norma approvata il 18 giugno 2025 premiava negli appalti pubblici le aziende che garantivano almeno 9 euro lordi all’ora ai lavoratori. Una soglia minima, non imposta ma incentivata. Un criterio premiale, non un vincolo. Il governo l’ha impugnata il 5 agosto, sostenendo che viola la competenza statale in materia di “concorrenza” e “ordinamento civile”. Tradotto: tutelare i salari altera il mercato. Il lavoro povero non è un’anomalia da correggere, è un elemento da preservare in nome della concorrenza. Il governo non consente alle Regioni di fare ciò che lo Stato si rifiuta di fare: garantire una soglia di dignità.

In Sicilia, l’Assemblea Regionale ha provato a intervenire su uno dei nodi più ipocriti della sanità pubblica: l’impossibilità di esercitare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, per carenza di medici non obiettori. La legge regionale n. 23 autorizzava le aziende sanitarie a bandire concorsi riservati a personale non obiettore, con la possibilità di revoca in caso di obiezione successiva. Anche qui, impugnativa immediata: violazione della libertà di coscienza, principio di uguaglianza, invasione di competenza. Il governo non difende la Costituzione: la piega. Impone la libertà astratta di obiettare contro il diritto concreto delle donne a curarsi. Ribadisce un ordine simbolico in cui il corpo femminile resta ostaggio della morale dominante. E lo fa anche in una Regione a guida centrodestra: segno che l’ideologia prevale sul pragmatismo, e che il controllo dei diritti vale più del consenso territoriale.

Poi c’è il caso Trentino. Una legge approvata ad aprile alzava da due a tre i mandati consecutivi del presidente di Provincia. La Lega l’ha voluta per blindare il suo uomo, Maurizio Fugatti. Fratelli d’Italia l’ha bloccata per tagliargli la strada. L’impugnativa è arrivata il 19 maggio, con i ministri leghisti contrari. Lo scontro è stato interno alla maggioranza. Non si trattava di principio, ma di potere. Il principio è servito solo come copertura. L’articolo 51 della Costituzione, la legge 165/2004, la giurisprudenza della Consulta: tutto vero. Ma tutto usato come leva politica. Un modo per tenere la Lega sotto tutela, in nome della legalità, ma con l’obiettivo di ridurne la forza competitiva dentro la coalizione.

Ecco il modello: autonomia nelle scartoffie, centralismo nei diritti. Le Regioni possono gestire fondi, firmare intese, ottimizzare burocrazie. Ma appena provano a fare politica – sui salari, sulla salute, sulle regole democratiche – interviene lo Stato. Non per proteggere un ordine costituzionale condiviso, ma per imporne uno unilaterale. Uniforme, conservatore, disciplinato. Non è incoerenza. È metodo. Il governo Meloni ha adottato un federalismo economico e un centralismo etico-giuridico. Autonomia per la gestione, verticalismo per i valori. Le Regioni sono libere solo se non disturbano. Se non anticipano. Se non provano a fare meglio.

L’impugnativa è diventata lo strumento con cui si chiude ogni esperimento di progresso. Non ci si limita a disattendere le proposte altrui: le si cancella, le si delegittima, le si blocca sul nascere. L’autonomia che si rivendica a Roma viene negata nelle Regioni, salvo che serva a rafforzare i rapporti di forza della maggioranza. Tutto il resto – il dibattito sui LEP, le rassicurazioni su scuola e sanità – è un’illusione semantica. Il governo sta costruendo un sistema ibrido e ipocrita: Regioni più deboli, cittadini più diseguali, diritti più negoziabili. La Costituzione come campo di battaglia, non come patto. E il pluralismo come minaccia da neutralizzare, non come ricchezza da tutelare. La Repubblica «una e indivisibile» è diventata indivisamente governata da una sola ideologia.