Mentre cadono più ponti che foglie in autunno, la Procura di Avellino chiede decine di anni di carcere per il crollo di un viadotto sull’autostrada A16 Napoli-Canosa. Era il 2013 e in quella tragedia morirono 40 persone, solo tre meno di quante hanno perso la vita due mesi fa sul Morandi di Genova. Due disastri legati da un unico filo: la gestione era della stessa società, Autostrade per l’Italia. Più inquietante ancora è la tesi dell’accusa, secondo cui il concessionario controllato dalla famiglia Benetton distribuiva agli azionisti giganteschi utili, in parte ottenuti tagliando le manutenzioni. Esattamente l’ipotesi sulla quale stanno lavorando anche i pubblici ministeri del capoluogo ligure. Saremmo di fronte, quindi, non più a una strage provocata dalla smania di assicurarsi un indebito arricchimento, ma da un modello criminale, per il quale restano inspiegabili le mancate dimissioni dell’Ad Giovanni Castellucci, per non parlare della condotta scandalosa degli azionisti che non sentono il bisogno di rimuovere un tale amministratore. Una scelta che dimostra quello che i magistrati non sono riusciti per il momento a provare, ma sul quale non si sono affatto rassegnati, e cioè che gli azionisti hanno coperto – ed evidentemente ancora coprono – chi ha gestito Autostrade in tal modo. Un’indecenza sulla quale solo Di Maio ieri è tornato a chiedere a Castellucci di togliere il disturbo, mentre il fronte politico e mediatico che difende ancora la società dei Benetton prendeva fiato per la critica dell’Anac ai super poteri del commissario per la ricostruzione.
L'Editoriale