Quando toccano i diritti degli altri, i partiti della maggioranza diventano legislatori instancabili. Ma appena provano a legiferare su temi che contano per davvero, come il fine vita, riescono nell’impresa di scrivere norme inapplicabili e ideologicamente distorte. L’ultima bozza partorita sul fine vita dalla destra ne è la prova: impianto discriminatorio, Servizio Sanitario Nazionale escluso, obbligo di cure palliative anche quando non richieste e un comitato di nomina governativa che decide sulla vita delle persone. È la solita legge-trappola, cucita su misura per fallire, utile solo a dire che “ci hanno provato” e dare in pasto alla base qualche slogan etico-confessionale.
Nel frattempo Antonio Tajani, in un impeto di protagonismo da estate parlamentare, lancia segnali d’apertura sullo ius scholae. Parla di “proposte diverse ma convergenti”, mentre cerca di intestarsi l’asse con il Pd per rimettere in moto una riforma congelata da anni. È il classico trucco da pompiere piromane: da un lato difende una legge sul fine vita che cancella i diritti riconosciuti dalla Corte costituzionale, dall’altro blandisce l’opposizione su una legge di cittadinanza che la sua stessa maggioranza ha sempre sabotato. Difficile non vedere in tutto questo l’ennesimo gioco di posizionamento: Forza Italia si agita per non farsi inghiottire dalla polarizzazione Lega-FdI, e Tajani cerca un profilo autonomo usando i diritti come contropartita (politica ovviamente).
Ma i diritti, per definizione, non si contrattano. E chi usa il dolore per risolvere le proprie beghe interne dimostra solo di non essere in grado di governare. Una legge sul fine vita seria esiste già: quella scritta dalla Consulta con sentenze vincolanti. Una proposta di legge popolare, firmata da centinaia di migliaia di cittadini, giace da anni in Parlamento. E mentre il centrodestra si arrampica sulle ideologie per riscrivere la realtà a suo piacimento, chi soffre continua ad aspettare una risposta. Senza slogan, senza ipocrisie, senza padrini politici. Solo giustizia.