L'Editoriale

Chi lecca i clan è complice

Non si ricordano episodi come quello del candidato del Centrodestra a Palermo, Roberto Lagalla, che ieri si è rifiutato di andare alle celebrazioni per Falcone.

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Chi lecca i clan è complice

Chissà se può esistere davvero quella destra moderna e legalitaria di cui si favoleggia da anni, perlomeno a partire dalla svolta di Fini a Fiuggi, sino alla Meloni. Fatto sta che dai diritti civili alla questione morale le buone intenzioni fanno a pugni con la realtà.

Persino su un piano centrale, come quello dell’onestà e dell’antimafia da cui partì il percorso storico di Almirante, la destra italiana non si è fatta mancare errori e orrori: dal fiancheggiamento di alcuni suoi esponenti al terrorismo ai casi di corruzione (qui però surclassati da tutti gli altri partiti).

Male, ma poteva andare peggio, anche il rapporto con la magistratura, dove l’opportunismo politico ha spinto a difendere oltre l’indifendibile l’alleato Berlusconi, pur mettendo dei freni a qualcuno dei tentativi più sgangherati di imbrigliare le toghe, specialità della casa del Cavaliere e dei suoi avvocati.

Non si ricordano però episodi come quello del candidato sindaco del Centrodestra a Palermo, Roberto Lagalla (nella foto), che ieri si è rifiutato di andare alle celebrazioni dell’assassinio di Giovanni Falcone, della moglie e della scorta, e per di più senza che i leader di Fratelli d’Italia abbiano detto pio. Pure gli altri partiti della coalizione, sia chiaro, dovevano trarre all’istante le conclusioni di aver scelto per il capoluogo siciliano un candidato gaffeur degno epigone di Bernardo a Milano e Michetti a Roma, e sbarazzarsene subito.

Ma Lagalla esce dal cilindro dei centristi Dell’Utri e Cuffaro, nei rapporti che sappiamo con Forza Italia e la Lega (dove si sono accasati tanti ex Udc e democristiani). Allo stesso modo Giorgia, quella che sgrana gli occhi se una domandina non la garba, non ha detto una parola su un gesto tanto grave e simbolico, in una terra che vive di simboli e dove purtroppo ieri c’era anche chi festeggiava. Perché la mafia non è finita, e tra chi piange Falcone e chi non lo fa, i boss non hanno dubbi su chi scegliere.

Quella del candidato del Centrodestra non è stata dunque una castroneria, ma un gesto gravissimo, neppure un millimetro più piccolo di quanto fecero all’epoca quei magistrati colleghi di Falcone che lo isolarono e di fatto armarono contro di lui Cosa nostra. Perché con la mafia non c’è indifferenza: o si è nemici o si è complici.