Come se non ci fossero problemi ben più seri di cui occuparsi, ieri dilagava la notizia dei guadagni di Giuseppe Conte, fermi nel 2022 a poco più di 24mila euro, e perciò i più modesti tra tutti quelli dichiarati dai leader politici. C’è da capirlo: in un Paese abituato ai ricchi stipendi dei parlamentari, vederne qualcuno che guadagna poco fa impressione. Non turba, infatti, Renzi che parte con quindicimila euro sul conto corrente e oggi è il senatore più ricco, con 3,2 milioni l’anno scorso e villone all’altezza di tale compenso.
Non facciamo di conto su quanto hanno incassato in decenni i dinosauri del Parlamento, dalla Meloni che sta a carico del bilancio della Camera solo dal 2006 per arrivare a quelli che ormai sono parte integrante dell’arredamento dei Palazzi, tipo Giorgetti e Calderoli (27 anni), La Russa e Gasparri (31 anni), per non parlare di Bossi (36 anni) e Casini (40). Signori a cui lo Stato ha pagato complessivamente decine di milioni, e visto come stiamo lasciateci il dubbio che non ne valesse la pena.
In questo quadro, Conte che per un anno ha rinunciato a ogni stipendio, senza neppure una presidenza non dichiarata di qualche società di cybersicurezza, è l’elemento anomalo. E pazienza se pure da premier si era auto-ridotto lo stipendio, o se i 5 Stelle restano gli unici eletti dai cittadini che restituiscono parte delle indennità. Siamo così assuefatti ai privilegi dei professionisti della politica da meravigliarci per chi sacrifica le proprie tasche, e non per chi campa grazie alle sue mani infilate nelle tasche nostre.