L'Editoriale

Così Meloni fa male all’Italia

Così Meloni fa male all’Italia

Così Meloni fa male all’Italia

Meno di quindici anni fa la Grecia stava fallendo. L’Europa del rigore nei conti pubblici – con cui oggi la nostra premier è pappa e ciccia – aveva bloccato i bancomat, e ci fu chi si diede fuoco in strada per disperazione. Ciò nonostante, Atene si è rimessa in piedi e per quest’anno stima una crescita del Pil del 2,9%, cioè il quadruplo dell’Italia. Una prospettiva che si spiega con le politiche economiche espansive del governo Mitsotakis, che è un conservatore di destra ma ha chiaro quel che c’è da fare, a partire dall’aumento del salario minimo annunciato ieri. In realtà questa è la quarta volta in cinque anni che si rafforzano gli stipendi più bassi, col risultato di sostenere i consumi.

Un genere di interventi non nuovo in Europa. Basti pensare all’Inghilterra, dove il primo ministro Sunak (pure lui conservatore) a novembre scorso ha aumentato il salario minimo di duemila euro l’anno. La stessa cosa che in Spagna ha fatto il socialista Sanchez, portando la paga base a 1.134 euro al mese. Il risultato è che Londra e Madrid hanno un’economia molto più forte della nostra, dove invece paghiamo il rifiuto della Meloni di alzare gli stipendi, a cominciare da quelli più bassi. E dire che tutto il mondo insegna che questo “regalo” alle imprese meno lungimiranti (a cui però le nostre destre tengono bordone) fa male anche al sistema produttivo, che non vende niente se chi vuole comprare non ha i soldi per farlo. Così l’Italia arretra, in attesa che un capo di governo con appena il diploma alberghiero capisca qualcosa di economia, e la smetta di fare tutto il male possibile solo per dispetto a Conte, l’unico che ha fatto sul serio le politiche espansive.

Mai nella storia, infatti, si erano visti il Reddito di cittadinanza e il Superbonus, come mai si era vista l’Italia all’8,3% del Pil, primo Stato in Europa. Numeri che fanno schiumare d’invidia Giorgia & Giorgetti, secondo cui quelle spese hanno dissestato i conti pubblici. Se però i poveretti studiassero prima di cianciare, imparerebbero la differenza tra costi e investimenti. E magari ci farebbero la grazia di non addossare i propri insuccessi su chi invece ha fatto di gran lunga meglio di loro.