Se su un giornale qualsiasi, o da un telegiornale, scoprissimo che in uno Stato qualsiasi quasi l’80% dei magistrati ha scioperato contro il governo, penseremmo di primo acchito che si tratti di qualche arretrata nazione governata da un despota. Accade spesso di leggere presunti illuminati che discettano dello stato delle democrazie altrui, giusto per esibire un’ostentata superiorità.
Che ieri in Italia abbia scioperato l’80% dei magistrati contro la riforma della giustizia voluta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con il ministro Nordio esecutore, dovrebbe far riflettere anche gli anti-giudici più ostinati, coloro che dai primi anni ’90 usano tutto il loro fiato per gridare contro le toghe rosse, la magistratura a orologeria, i giudici politicizzati e tutta la solita manfrina coniata da Berlusconi e imparata a memoria dai suoi adepti e delfini.
A questo punto rimangono in piedi due ipotesi. I magistrati infedeli sono quindi l’80% del totale, 8 su 10, e quindi siamo un Paese finito che merita di essere invaso da un esercito e commissariato da qualche democrazia matura. Se così fosse, Meloni e i suoi sodali dovrebbero avere il coraggio di dirlo chiaramente, proclamare lo stato d’emergenza e chiedere l’intervento dei caschi blu. Oppure, più semplicemente, la riforma della giustizia che ha in mente il governo non piace a chiunque abbia a cuore la giustizia e la Costituzione, indipendentemente dalla parte politica, perché è un sabotaggio mascherato da riforma. Il governo ieri ha lasciato intendere di essere disposto a trattare. Sembra molto più probabile, quindi, la seconda ipotesi.