Da qui al momento dell’incarico che il Capo dello Stato conferirà per formare il Governo c’è abbastanza tempo per rompere, ricostruire e rompere ancora l’alleanza populista tra Salvini e Di Maio. Normale amministrazione, dunque, i missili che le due forze politiche hanno appena cominciato a lanciarsi a vicenda. I Cinque Stelle non possono perdere Palazzo Chigi, dove vogliono arrivare con la Lega ma senza Berlusconi. Il leader del Carroccio non può scaricare il Cavaliere, senza il quale non avrebbe più alcun diritto a fare il premier. Mattarella osserva mentre a bordo campo si scalda qualche padre nobile – o sedicente tale – nell’ipotesi che alla fine vinca lo stallo tra Luigi e Matteo, obbligandoli a fare i vice presidenti di una figura di garanzia. Ieri il Corriere della Sera suggeriva l’ex ministro Franco Frattini, ma di personaggi con qualche carta da giocare per quella poltrona ce ne sono anche altri. Il problema vero non è quindi la Presidenza del Consiglio, o perlomeno non solo questo. Il vero incubo è cosa può fare di buono un Governo con due partiti con idee molto lontane su tutto tranne che l’antieuropeismo, entrambi candidati a diventare l’uno antagonista dell’altro in un futuro sistema bipolare. Per quanto adesso si sforzino di edulcorare il messaggio con cui hanno preso i voti alle elezioni, la Flat tax non potrà convivere mai con il reddito di cittadinanza, se non al prezzo di far schiattare all’istante i conti pubblici. E su questo punto, ben più qualificante di chi farà il capo dell’Esecutivo, tutto tace.
L'Editoriale
Di Maio e Salvini, un gallo è di troppo nel pollaio
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