L'Editoriale

Dimettetelo!

Dimettetelo!

Sembra passato un secolo da quando Giorgia Meloni tuonava, con il solito video senza contraddittorio, contro i “magistrati politicizzati” che “vogliono governare loro”. Nel mirino della premier era finito il Procuratore di Roma Lo Voi e la comunicazione con la quale la informava di aver trasmesso il fascicolo sul caso Almasri al Tribunale dei ministri (un atto “dovuto” ribattezzato dalla stessa Meloni un atto “voluto”), dove la presidente del Consiglio è indagata insieme al sottosegretario Mantovano e ai ministri Nordio e Piantedosi per favoreggiamento e peculato (il guardasigilli anche per omissione di atti d’ufficio) in merito alla vicenda del mancato arresto del generale (presunto torturatore) libico, fermato dalla Digos a Torino per poi essere liberato e rimpatriato con un volo di stato nonostante sulla sua testa pendesse un mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi).

Ora si scopre, da articoli di stampa, che la versione rifilata al Parlamento dal ministro della Giustizia Nordio fa acqua da tutte le parti. E il suo goffo tentativo di scaricabarile sul mancato arresto del ricercato internazionale (serviva la firma del guardasigilli per consentire alla Corte d’Appello di procedere) gli si è ritorto contro. Nordio dichiarò dinanzi alle Camere che soltanto lunedì 20 gennaio gli uffici competenti del ministero erano stati informati del fermo del presunto criminale libico. Ma dalle carte dell’inchiesta si apprende ora che già nel pomeriggio della domenica precedente i più stretti collaboratori del ministro erano al corrente di quanto stava accadendo (leggi pezzo a pagina 3).

Dettagli che smontano la versione propinata da Nordio al Parlamento e all’opinione pubblica. Alimentando il serio sospetto che la decisione sul rimpatrio di Almasri fu presa in realtà per ragioni di natura politica: il timore, in particolare, che la sua consegna alla Cpi scatenasse una nuova ondata di migranti in partenza dalla Libia verso le nostre coste. E adesso? In un Paese normale ci si aspetterebbe che la premier si scusasse per il suo violento attacco alla magistratura e che il suo ministro rassegnasse le dimissioni. O, in alternativa, che fosse lei stessa a dimissionarlo. Ma siamo in Italia.