L'Editoriale

I danni della finta sinistra

Dov’è finita quella parte del Pd che boicottò il salario minimo, anche col pretesto di cambiare il tetto dei nove euro l’ora lordi in nove euro netti?

I danni della finta sinistra

Ieri ha aperto le danze Giorgia Meloni, che di prima mattina da Radio Rtl 102,5 ha gettato la croce del salario minimo sulla sinistra, colpevole di non essersi occupata del problema in tanti anni di governo. Dopodiché in tv, sui social e ovunque si sentisse un ascaro delle destre era tutto un ripetere questa sciocchezza, che in ogni caso non assolve la maggioranza per lo schiaffo inferto ai lavoratori poveri.

Quella di un salario minimo, infatti, è una battaglia antica, che i 5 Stelle nella scorsa legislatura mossero sin dalle prime battute dell’esecutivo gialloverde, bloccati dagli alleati della Lega. Ci si tornò nel Conte II, ma questa volta furono parti del Pd e della Cgil a opporsi. Il sindacato rivide la sua posizione quando l’allora ministro Orlando rassicurò sul ruolo della contrattazione collettiva, mentre i gruppi di Camera e Senato del partito guidato in precedenza da Matteo Renzi restavano largamente sulle posizioni dell’ex segretario.

Posizioni definite riformiste, ma in realtà ostili ai lavoratori e ai loro diritti, come si era già visto con l’abolizione dell’art.18 (divieto di licenziamento). Ma dov’è finita quella parte del Pd che boicottò la legge, anche col pretesto di cambiare il tetto dei nove euro l’ora lordi in nove euro netti? Quella che la Meloni chiama genericamente sinistra sta oggi in Italia Viva, che insieme alle destre tutt’ora si oppone al salario minimo. Dunque non è vero che la sinistra non ha voluto la legge, perché responsabili del vuoto legislativo sono solo le destre. Quelle ufficiali e quelle che di sinistra hanno solo il travestimento.