L'Editoriale

I referendum sulla giustizia e la lezione di Calderoli

Su una cosa il senatore Roberto Calderoli ha ragione: la Giustizia in Italia non funziona.

Su una cosa il senatore Roberto Calderoli ha ragione: la Giustizia in Italia non funziona. Ieri infatti la Cassazione l’ha salvato dalla condanna a 18 mesi (in primo grado) per aver diffamato l’ex ministra Cecile Kyenge, definendola un orango.

Una vicenda che risale al 2013, e arrivata ai giorni nostri, cioè ormai di fatto in prescrizione, tra rinvii, certificati medici e giudici che valutano le procedure ognuno come gli pare, per cui la richiesta di spostare il processo considerata valida da alcuni è sbagliata per altri.

Ci occupiamo di Calderoli, da solo 30 anni consecutivi in Parlamento, perché lo storico esponente della Lega è tra i promotori più attivi dei Referendum di domenica prossima, dove al primo quesito si chiede di fare piazza pulita della legge Severino, cioè la norma che impedisce a chi ha rubato allo Stato di continuare a farlo, ricandidandosi.

Una delle poche leggi che fanno paura ai corrotti, e che secondo Calderoli & compari dovrebbe cancellare l’interdizione obbligatoria dai pubblici uffici, delegando una tale decisione, come eventuale pena accessoria, a un giudice.

Ovviamente l’allora braccio destro di Bossi e oggi di Salvini sa perfettamente come si possano interpretare diversamente i fatti in tribunale, per cui definire una donna un orango in un comizio davanti a migliaia di persone per qualcuno merita un anno e mezzo di galera e per altri può essere una buffa metafora.

Esattamente com’è il sogno di molti per le mazzette: per alcuni la prova certa di un reato, per altri un contributo al povero politico che ha bisogno di rubare. Fin quando non avrà imparato a rubare meglio.