Il processo a mafia Capitale che si apre oggi a Roma è uno di quei momenti che lasciano una traccia profonda. Il sistema di Buzzi e Carminati aveva radicato un apparato parallelo all’amministrazione comunale, corrompendo e minacciando. Non c’erano coppole e lupare, ma per la Procura il metodo era quello tipico della mafia. Le prime condanne per gli imputati che hanno scelto il rito abbreviato danno credito a questa visione, nonostante diversi commentatori derubrichino tutto a semplici episodi di corruzione. Il Comune di Roma che si è costituito parte civile non la vede così e con i suoi legali ha definito il cosidetto mondo di mezzo richiamato nell’inchiesta una naturale prosecuzione del contesto criminale della banda della Magliana. Tesi dunque durissime, esattamente come quelle sostenute a Palermo dalla Procura che ha visto assolvere l’ex ministro Mannino dall’accusa di aver partecipato alla trattativa tra Stato e mafia all’epoca degli attentati del 1992. Se i magistrati siciliani incassano un duro colpo, quelli di Roma si giocano una partita altrettanto delicata. Dove comunque si toglierà un cancro. E di questo Roma può solo ringraziare.
L'Editoriale