L'Editoriale

Il baratro che si rischia con Giorgia

Il baratro che si rischia con Giorgia

Come nella quiete prima della tempesta, il silenzio di Giorgia Meloni su cosa bolle in pentola sul governo scatena autocandidature e racconti fantasy. Vecchi ruderi di destra, tecnici col domicilio fisso nelle segreterie di partito, ex ministri con la nostalgia dell’auto blu s’offrono alla prossima inquilina di Palazzo Chigi giurando di essere sempre stati sovranisti, anche se costretti a non dirlo perché quelli di prima al potere mica erano “umani” e sinceramente democratici come quelli di adesso.

Lasciamo perdere perciò le balle dei giornali e cerchiamo di capire cosa ci possiamo aspettare. Una volta convinti gli elettori a darle la fiducia, per la Meloni è determinante convincere le istituzioni europee e i mercati. Tutte le chiacchiere sull’Europa matrigna vanno perciò dimenticate se non si vuol finire in pochi mesi nello stesso incubo del 2011, con lo spread alle stelle, Bruxelles che taglia il Pnrr (come ha appena fatto con l’Ungheria di Orbán) e la Banca centrale che non ci sostiene più comprando i Btp.

Tutto questo possiamo definirlo senz’altro un orribile cappio sul Paese, ma con 2.500 miliardi di debito e altri 40 da tirar fuori per la Manovra dell’anno prossimo c’è poco da fare gli splendidi. Il rischio, diversamente, è di accodarci proprio ad Orbán, il faro dei sovranisti europei, che ieri ha visto salire i tassi della moneta di Budapest al 13% (mentre qui siamo ancora all’1,25%). E se prendessimo questa china, non avrà più importanza chi saranno i ministri, perché ci servirà di più sapere dov’è che distribuisce i pasti la Caritas.

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