Con il divieto di pubblicare le ordinanze di custodia cautelare, approvato ieri dalla Camera, l’Italia scivola ancora di più nel baratro della disinformazione e dell’impunità per chi delinque. Fino al termine dell’udienza preliminare, i cittadini non avranno il diritto di sapere su cosa indagano i magistrati, intercettazioni e fatti che il precedente ministro Bonafede aveva reso pubblici. Un bavaglio sulla stampa che fa rabbrividire, ma allo stesso tempo non sorprende.
Le destre e i partiti del centro-affari (Italia Viva e Azione) ci provavano da anni, e adesso portano a casa questo nuovo macigno sulle cronache giudiziarie del Paese. E dire che tanto sforzo non era poi così necessario. Senza arrivare alle notizie di reato, ma fermandoci sul piano dell’opportunità dei comportamenti, i quotidiani sono pieni di politici in conflitto d’interessi, di personaggi pubblici che abusano del loro potere e di furbizie di ogni tipo. Alla fine di tutto questo, però, cambia qualcosa? No, non cambia niente.
Anzi, nei casi più indecorosi scatta una rete mediatica di protezione, e ministri che in altri Stati si dimetterebbero all’istante qui la passano liscia. Di queste storie ne abbiano ormai una al giorno: Santanchè, Delmastro, Sgarbi, Crosetto, Lollobrigida, Fazzolari, Gasparri… le inchieste giornalistiche hanno messo a nudo ogni tipo di vergogna. Eppure, non c’è uno di questi signori che non resti in sella. E i cittadini, informati o disinformati che siano, non si indignano quasi più di niente. Ordinanze di custodia cautelare comprese.