L'Editoriale

Il Giurì del disonore

Quando Conte ha chiesto un giurì d’onore per smentire il racconto della Meloni su una fantomatica approvazione del Mes ai tempi del governo giallorosso, pure ai più ottimisti è sembrato che osasse troppo.

Il Giurì del disonore

Giuseppe Conte ci ha abituato alle mosse più ardite: dalle restrizioni per limitare le vittime del Covid poi copiate in tutta Europa alla battaglia sul Recovery Fund – impensabile fino ad allora – che ha portato in Italia duecento e passa miliardi di euro. Eppure, quando ha chiesto un giurì d’onore per smentire il racconto della premier Meloni su una fantomatica approvazione del Mes ai tempi del governo giallorosso, pure ai più ottimisti è sembrato che stavolta osasse troppo.

Con una destra che manipola ogni informazione, trovare soddisfazione in un organo politico significa mettere la testa nella bocca di un leone. E infatti, dopo aver letto la bozza di relazione del presidente Giorgio Mulè (Forza Italia), ai due deputati delle opposizioni nel consiglio del Giurì (Stefano Vaccari del Pd e Filiberto Zaratti di Avs) non è rimasto che dimettersi, denunciando che nel documento finale ci sarebbero interpretazioni di parte che nulla hanno a che fare con l’esclusivo accertamento dei fatti.

Così nel Giurì restano solo tre componenti, tutti della maggioranza della Meloni, che domani vorrebbero comunicare al Parlamento le loro conclusioni apponendoci il sigillo della verità. Se fosse una barzelletta ci sarebbe da ridere, ma questo è il livello in cui le destre al potere hanno fatto crollare le istituzioni, anche negli organi di garanzia. Un quadro da Paese sudamericano, in cui gli stessi campioni di democrazia si stanno apparecchiando riforme come l’Autonomia regionale differenziata e il premierato. Un rischio madornale vista l’imparzialità con cui manipolano le regole.