L'Editoriale

Il mantra del “ve l’avevo promesso”

Meloni e il mantra del ve l'avevo promesso: come se bastasse mantenere una promessa per legittimare qualunque riforma.

Il mantra del “ve l’avevo promesso”

C’è una cifra costante nella narrazione di Giorgia Meloni: l’autolegittimazione. Ogni risultato – vero, presunto o inventato – è l’effetto naturale di una missione compiuta, ogni critica è un fastidioso sottofondo da ridurre a rumore di opposizione. Nell’intervista all’Adnkronos la presidente del Consiglio elenca come medaglie i traguardi del suo governo, ma a uno sguardo meno accondiscendente il racconto mostra più crepe che cemento.

Sulla natalità, Meloni ammette che “i risultati sono insufficienti”, ma parla come se la colpa fosse del clima culturale e non delle scelte politiche. Eppure è il suo governo a tagliare fondi agli asili nido nel Sud, a rendere il congedo parentale ancora marginale, a sostenere una visione della maternità come dovere patriottico più che come diritto tutelato. L’occupazione cresce, sì, ma con salari che restano tra i più bassi d’Europa, precarietà persistente e nessun salario minimo all’orizzonte. E il milione di posti di lavoro sbandierato ha la stessa consistenza di un claim elettorale: dentro ci stanno i contratti a chiamata, gli stagionali, i voucher.

L’orgoglio per il “capovolgimento della narrazione sull’Italia” all’estero stride con i dati di Reporters sans frontières che ci retrocedono al 49° posto per libertà di stampa, il peggiore tra le democrazie occidentali. Mentre lei parla di pluralismo, l’informazione pubblica viene occupata scientificamente, con epurazioni silenziose e promozioni per fedeltà politica. E nel frattempo si moltiplicano gli attacchi ai giornalisti indipendenti, ai programmi scomodi, alla satira.

Poi il mantra: “ve lo avevamo promesso”. Come se bastasse mantenere una promessa per legittimare qualunque riforma, anche se spacca il Paese (autonomia differenziata), concentra il potere (premierato) o smonta le garanzie (giustizia). Il programma non è una santificazione, ma una responsabilità. E chi governa non è un venditore di contratti chiusi, ma un servitore temporaneo della cosa pubblica. Ricordarglielo, a quanto pare, è ancora necessario.