Per rispetto della parola data a Draghi, ieri i Cinque Stelle hanno votato la fiducia alla Camera, nonostante il Decreto aiuti indebolisca Reddito di cittadinanza e Superbonus 110%, cioè due delle misure sulle quali hanno chiesto garanzie al premier dandogli tempo fino al termine di luglio.
Se queste risposte non ci saranno, potrebbe arrivare in seconda lettura l’astensione o il voto contrario, anticamera di un’uscita dalla maggioranza procrastinata così al prossimo autunno. Ma dietro al sì ad una norma tanto indigesta c’è anche il senso di responsabilità per le sorti del Paese in mezzo a una guerra alle porte dell’Europa, con i costi energetici alle stelle, l’inflazione che galoppa e il Covid che non dà tregua.
“Mollare il Governo in una situazione tanto grave equivale a un alto tradimento”, è il refrain di numerose forze politiche, a dire il vero meno spaventate dei missili di Putin che di sparire nella prossima legislatura. Eppure ci sono non una ma adesso due prove che demoliscono la retorica del cambio di governo o del voto impossibile in questo momento.
I nostri stessi problemi, infatti, non hanno impedito le elezioni presidenziali e politiche in Francia, e in Gran Bretagna ieri è saltato il primo ministro Boris Johnson. Ora è vero che solo qui abbiamo alla guida la copia conforme del Messia, ma a vedere i precedenti di Parigi e Londra è probabile che se saltasse Draghi lo seguirebbero schiere di pavidi e affaristi, ma non sicuramente il resto del Paese.