Un giorno offeso e l’altro denigrato, alla fine Luigi Di Maio se n’è andato dai 5 Stelle sbattendo la porta e portandosi via una barca di parlamentari. Esattamente quello che si auguravano gli spericolati strateghi vicini a Giuseppe Conte, alle Camere e in qualche giornale, bravissimi a comprendere ogni sfumatura della politica tranne che da questa scissione il Movimento difficilmente potrà riprendersi.
Gli stessi che hanno spinto ogni rottura, da Casaleggio jr. fino allo stesso Grillo, non hanno calcolato che a furia di litigare con tutti sono fuggiti anche gli elettori, e per quanto Di Maio non fosse più apprezzato dagli attivisti come una volta, l’ennesima frattura, così profonda, fa apparire definitivamente inaffidabile questa forza politica visionaria, nonostante porti con sé valori magnifici come il rispetto della povera gente, l’ambientalismo e l’onestà.
Ripartire dopo aver detto basta alle armi all’Ucraina e aver votato un minuto dopo per continuare a mandarne, adesso non sarà facile neppure per un leader dalle molte risorse come Conte, che da oggi non avrà più alibi: sarà solo merito suo se i 5S riusciranno a stabilizzarsi, magari senza diventare una succursale del Pd, o se proseguirà la perdita di consensi vista alle ultime amministrative.
Di sicuro il Movimento ora è tutta un’altra cosa rispetto a quello votato da 11 milioni di italiani nel 2018. E sarebbe buffo se la prima riforma che farà sarà quella di derogare alla regola dei due mandati, come premio fedeltà a chi è rimasto, visto che con gli altri non se ne poteva nemmeno parlare.