Il frenetico immobilismo dell’Europa sulle grandi questioni epocali, dal lavoro precario all’immigrazione, non è un’invenzione di Renzi. Il nostro premier su questa denuncia ha ragione da vendere, e pazienza se una tale presa di posizione è chiaramente strumentale per spostare altrove i riflettori che oggi sono accesi sulla battaglia finale nel Pd in vista del referendum costituzionale. Il punto è un altro: quanto questo battere i pugni sul tavolo sia vero o faccia solo parte di una tattica che dietro la cortina fumogena non si sogna nemmeno di fare una guerra vera alla Merkel e a Bruxelles. Quando si insediò, il premier era sufficientemente spregiudicato da essere disposto a governare grazie a alleanze “innaturali” come quella con Verdini. Già allora Renzi promise con l’Europa sfaceli che non sono arrivati. E senza un surplus di flessibilità nella prossima manovra finanziaria sarà proprio l’Europa a bloccare quei regali a pioggia che Renzi sta promettendo per vincere il referendum del quattro dicembre. Perciò le critiche giuste avanzate da Renzi sembrano un ruggito del coniglio piuttosto che legittime recriminazioni.
L’infinita gratitudine del Pd
Il partito che è riuscito a passare dal 40% del 2014 alla disfatta delle elezioni politiche del 2018 ha messo all’angolo chi si è preso