Quando i tempi si fanno cupi, come questi, i partiti di lotta e di governo non piacciono, come dimostra il magro bottino raccolto alle amministrative da Lega e 5 Stelle. Il continuo incrociare le lame col premier Draghi, anche per difendere le proprie bandiere, disorienta gli elettori che alla fine si polarizzano su chi difende il governo qualunque cosa faccia – il Pd – o lo contesta a prescindere, come fa Fratelli d’Italia.
Pure la Meloni, sia chiaro, non brilla per credibilità facendo l’opposizione in Parlamento e l’alleanza elettorale col resto del Centrodestra che sostiene Draghi, ma i suoi continui dissensi con Salvini le restituiscono un ruolo di faro alternativo.
Dunque, a meno di un anno dalla fine della legislatura è naturale che i leader dei partiti in calo di consensi si diano una regolata, e ragionino di come fermare la fuga dei loro elettori, scaricando la colpa sulla convivenza con i dem – come ha detto ieri il segretario del Carroccio – o decidendo una volta per tutte la struttura organizzativa, come ha annunciato Conte, promettendo un voto tra gli iscritti anche per decidere sulla deroga al tetto dei due mandati per i parlamentari.
Risposte attese ma che non capovolgono un trend chiarissimo. Perciò serve fare di più, e nello specifico abbandonare le posizioni ondivaghe: o si sta in questo governo e se ne diventa i pretoriani, qualunque vergogna compia, oppure si smette di esserne complici. Certo, tirarsi fuori dalle responsabilità in mezzo a una guerra e alla crisi economica che avanza non è facile, ma anche i donatori di sangue quando hanno finito il plasma devono decidere: o si fermano o muoiono.