L'Editoriale

L’incendio non si spegne con i fucili

L’isolamento in cui si è cacciato Putin è l’anticamera della sorte che tocca a chi gioca il tutto per tutto e perde.

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L’incendio non si spegne con i fucili

Di fronte alle scene strazianti delle donne e dei bambini travolti dalla guerra, oggi tutti noi dovremmo sentirci cittadini ucraini. L’ha detto ieri chiaramente il ministro Di Maio, inchiodando l’aggressore Putin a una responsabilità che non gli nega più nessuno al mondo, compresi i cinesi che hanno cominciato a prenderne le distanze.

L’isolamento in cui si è cacciato è l’anticamera della sorte che tocca a chi gioca il tutto per tutto e perde. Perché Putin ha già perso, indipendentemente da quanto Kiev riuscirà ancora a resistere. La crisi finanziaria scatenata dalle sanzioni a Mosca, gli oligarchi che non sentono più garantiti i loro patrimoni, e soprattutto la presa di coscienza delle giovani generazioni russe e dei Paesi dell’ex cortina di ferro su quant’è schifosa tanta violenza, stanno già gelando le radici profonde di un sistema rimasto ai tempi della guerra fredda.

Comprendere tutto questo, e guardare i fatti con lungimiranza, dovrebbe rendere evidente che dall’attuale conflitto non si esce offrendo armi all’Ucraina, se non altro perché cadranno presto in mano agli invasori, ma facendo squadra con la comunità internazionale, affinché gli stessi russi regolino i conti con il loro piccolo zar.

D’altra parte non è con la forza che l’uomo domina il pianeta, perché il leone o l’elefante sono certo più forti, ma è con l’intelligenza e la sapienza che si vincono le sfide, anche quelle apparentemente impossibili contro menti altrettanto intelligenti, ma evidentemente offuscate dal potere: quello avuto per troppo tempo o quello nuovo da conquistare.

Per questo gli uomini di buona volontà ripudiano le armi, e fa specie che l’Italia abbia scelto la soluzione più facile, consegnando missili e ordigni a Zelensky. Gettiamo benzina sul fuoco, insomma, convinti che così si spenga l’incendio. Ma in realtà stiamo allungando i tempi di una strage, perché l’esercito russo non può perdere sul campo di battaglia contro un nemico immensamente più piccolo.

E se anche la resistenza trasformasse l’Ucraina in un nuovo Vietnam, il prezzo delle atrocità sarà solo più alto. Quindi la guerra si vince facendo vedere ai russi quanto ci guadagnano con la pace, non perdendo pure noi nell’allungare la guerra.