Ai tempi della Prima Repubblica, quando la politica che molti oggi rimpiangono faceva da tappetino (pieno di soldi) alla grande industria privata, l’avvocato Agnelli mise in chiaro le cose, sostenendo che quello che andava bene alla Fiat andava bene al Paese, e non viceversa. C’era un padrone, insomma, e lo Stato si doveva adeguare.
È passata un’era geologica e ai privati – scappati all’estero – si sono sostituiti alcuni colossi pubblici, ormai talmente autoreferenziali da infischiarsene di tutto, senza eccezione per le sanzioni alla Russia che il Governo dovrebbe far rispettare.
Dunque, le medie imprese possono pure fallire ma hanno il divieto assoluto di muovere un copeco, mentre l’Eni apre conti correnti in rubli, facendo prima a pagare il gas a Mosca direttamente in bombe e carri armati, perché piegarsi al cambio della valuta fissato dai contratti, come pretende Putin, significa allontanare lo spettro del default russo e allungare la guerra.
Il gas ci serve e se non lo paghiamo come vuole il Cremlino ci chiudono i rubinetti, è la facile replica, ma allora che le abbiamo decise a fare le sanzioni, al cui costo dobbiamo aggiungerci la perdita della faccia.
Semmai all’Eni ne sia rimasta una, dopo la promessa di una svolta Green poi rimangiata facendosi autorizzare a bucare l’Adriatico per i prossimi dieci anni, per estrarre idrocarburi ad alto costo e bassa qualità, quando il futuro è nelle rinnovabili, e qui – al di là della propaganda aziendale – il gruppo guidato dall’Ad Descalzi (nella foto) ha fatto passi da nano rispetto ad Enel e, in proporzione, persino alle utility comunali dell’energia.