Se il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, si fosse battuto per spendere le risorse ordinare con la stessa forza con cui ora chiede di gestire quelle straordinarie per l’alluvione, i danni dell’ultimo cataclisma sarebbero sicuramente meno.
Fatto sta, che da giorni vediamo il presidente del Pd scappellarsi col governo, flirtando con la premier, da cui si aspetta la nomina a commissario all’emergenza. Sul piatto ci sono fondi che si stima possano arrivare a dieci miliardi, e seppure al momento si tratta solo di soldi del Monopoli – visto che il decreto annunciato è privo di coperture – ci sarà pur sempre un po’ di grano da gestire. E dove c’è la ciccia il Pd non manca mai.
Per questo la Lega non ci sta a fare regali, e per la verità neppure la Meloni, nonostante in un’altra stagione della politica il governo Conte I nominò commissario alla ricostruzione del ponte di Genova il sindaco di destra della stessa città, facendo passare il principio che nelle emergenze è meglio gestire le cose sul posto piuttosto che da Roma. A questo stesso ragionamento si accoda ora Bonaccini, chiedendo di amministrare lui i quattrini.
Ma il presidente emiliano non è senza responsabilità nella mancata messa in sicurezza dei territori devastati, e solo la vertigine del potere non gli fa comprendere che la sua pretesa somiglia a quella del lupo candidato a custodire gli agnelli. Ma nel mondo fantastico della politica italiana, se Salvini senza un euro può promettere quindici miliardi per il ponte sullo Stretto, allora perché anche Bonaccini non può sognare?