L'Editoriale

La condanna di Matteo c’è già stata

Se quella sui camici di Fontana è un’inchiesta a orologeria, ovviamente l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini è un processo politico. Dicono così dalle parti della destra più becera e meno legalitaria del mondo, trascinata da quasi tre decenni di berlusconismo nella più smaccata insofferenza verso tutto ciò che ha a che fare con la Giustizia. Ovviamente il voto di ieri in Senato non ha condannato nessuno, compito che spetta ai giudici e non ai politici, ma la propaganda sovranista non ha perso tempo nel cambiare felpa al leader della Lega, prima invincibile Capitano nell’arginare lo straniero e adesso povera vittima dei suoi avversari politici, del sistema Palamara, degli scafisti e mentre ci siamo pure delle Ong, che non hanno certo un tale potere ma sparargli contro eccita sempre gli agit-prop della casa, Maglie e Capezzone. Aspettando che ci chiedano di dichiararlo martire e santo, il segretario del Carroccio continuerà a girare la frittata per difendere il suo indifendibile governatore della Lombardia e sostenere che la decisione di non dare un porto alla nave Open Arms fu collegiale del Governo, quando è agli atti che il premier Conte gli chiese di fare attraccare l’imbarcazione e tutti sanno che proprio nei giorni di quei fatti la Lega staccava la spina all’Esecutivo, puntando ad andare alle urne dove quel caso avrebbe dato un dividendo elettorale. Un errore monumentale, che in un solo anno è già costato 10 punti alla Lega. E per un leader politico, processo a parte, non c’è condanna peggiore.