L'Editoriale

La Giustizia secondo Matteo

Oggi a Catania non ci sarà giustizia. E non solo perché centinaia di imputati, indagati, giudici e avvocati non potranno entrare come ogni giorno in tribunale. In tutto l’enorme edificio ci sarà posto solo per il senatore Salvini, che ha montato una tale pressione sulla città e sui suoi giudici da far scattare la chiusura del Palazzo e di buona parte delle strade circostanti. Una manifestazione che ha già suscitato parecchie contestazioni, finora pacifiche, per quanto la prefettura sia in allarme e ha mobilitato 500 poliziotti, fatti arrivare anche da altre regioni.

Salvini come ogni cittadino ha tutto il diritto di esprimersi sul suo possibile rinvio a giudizio, ma assediare chi deve giudicarlo è un’altra cosa. E aver portato migliaia di persone con questo scopo configura una sorta di minaccia a quegli stessi magistrati da cui lui stesso aveva detto di volersi fare serenamente processare. Pochi ricordano, infatti, che pochi giorni prima delle elezioni in Emilia Romagna, mentre andava a citofonare a presunti spacciatori per dimostrare il massimo rispetto della legalità, e non danneggiare la sua candidata Borgonzoni, il gruppo della Lega in Giunta al Senato si espresse a favore dell’autorizzazione a procedere, su indicazione del segretario del partito.

Poi, passato il voto regionale, i leghisti tentarono la retromarcia, già riuscita ai tempi della maggioranza gialloverde, quando Di Maio sacrificò la faccia con un mucchio di suoi elettori per salvare il collega vicepremier dal giudizio sul caso Diciotti. Perciò la manifestazione del Carroccio iniziata già ieri a Catania, al netto della strumentalizzazione politica, è il marchio di fabbrica di un partito allergico alla legalità, che non ha voluto affrontare con trasparenza i casi di Savoini, dei commercialisti di fiducia che facevano sparire fiumi di denaro in fiduciarie all’estero, della fornitura di camici alla ditta di famiglia del governatore Fontana in conflitto d’interessi. Una Lega che persino quando finge di volersi sottoporre al normale corso della Giustizia lo fa forzando le regole. Se non quelle dei codici, sicuramente del buon senso.