La messa è finita, andate in pace. Il cerimoniale del lutto (nazionale) per la morte di Silvio Berlusconi si è concluso com’è cominciato. Con il dolore – privato seppur esibito in pubblico – di chi l’ha conosciuto e ha lavorato con lui e con l’indecente politicizzazione di quello stesso dolore per manganellare anche in giorni del genere gli avversari politici.
Così anche i partecipanti al funerale di Stato radunatisi in piazza Duomo a Milano hanno creduto di essere all’ultima finale della coppa della vita e hanno intonato cori da stadio. Cori, sia chiaro, contro “i nemici” per celebrare l’amico. La scena della giornalista di Mediaset che si commuove mentre guarda dall’alto la piazza milanese rimbombare sotto i tonfi della gente che intona il coro “chi non salta comunista è” resta probabilmente l’apice della tragedia diventata inevitabilmente farsa.
Su Canale 5 durante la diretta del funerale qualcuno ha detto, senza che nessuno avesse da ridire, che come l’antiberlusconismo non è servito ieri così oggi non serve più l’antifascismo. All’uomo Berlusconi e al dolore per la morte hanno mancato di rispetto in molti, da entrambe le parti. Forse nemmeno lui – che pur adorava risultare divisivo – avrebbe apprezzato questo spettacolo necrofilo.
Ora la messa è finita, andate in pace e al governo Meloni tocca governare. Tocca dare una risposta ai romagnoli che hanno ancora i piedi nell’acqua e non sanno chi sarà il commissario della loro emergenza. Tocca correre per non perdere il PNRR e convincere l’Europa. Tocca reagire al crollo della produzione industriale.
Tocca trovare un argine credibile alla povertà. Tocca scegliere che collocazione avere nello scacchiere europeo e internazionale, con gli autocrati o con le democrazie. Un governo non è un ufficio del cerimoniale permanente e non è un organo di controllo. Un governo governa, prende decisioni, risolve i problemi. Non basta bastonare l’opposizione e non dura a lungo la giustifica per lutto familiare.