In Italia l’unico modo per fare carriera è nascere nella famiglia giusta. Solo quello, nient’altro. Da decenni si parla di “ascensore sociale” ma il Paese è messo molto peggio delle più pessimistiche previsioni. Spiega l’Istat che un terzo degli adulti (tra 25 e 49 anni) a rischio di povertà proviene da genitori che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria: la povertà è una malattia genetica.
Siamo nel Paese in cui “il merito” è una clava da usare contro gli avversari politici, svuotato di significato da una classe dirigente che spesso ha avuto il “merito” di essere nata nella famiglia giusta. Il merito, quello vero, non esiste. La notizia è spaventosa e pericolosa. È spaventosa perché ci dice che non vale nemmeno coltivare speranza, affinare talenti e impegnarsi nella crescita personale e professionale. La provenienza familiare pesa più di qualsiasi dedizione. Ma la notizia è anche pericolosa perché da anni pezzi di classe dirigente (talvolta immeritatamente) additano coloro che denunciano il blocco dell’ascensore sociale come catastrofisti, inetti, falliti. Invece sono disperati, nel senso etimologico del termine, perché sono realisti.
E che fa il governo? Bastona i disperati. L’abolizione del Reddito di cittadinanza è solo una delle tante ritorsioni contro coloro che rovinano la narrazione. E in un’Italia sempre più vecchia e sempre più povera – lo dice l’Istat – i giovani sono incagliati e derisi. Come va a finire la storia non c’è nemmeno bisogno di scriverlo.