L'Editoriale

Le lacrime sintetiche dei nostri ecologisti alle vongole

L’ambientalismo alle vongole ci farà versare per qualche giorno la dose consigliata di lacrime, ma passata l’onda emotiva bisognerà tornare alla vita di sempre.

Le lacrime sintetiche dei nostri ecologisti alle vongole

In Italia pochi giornali si battono per l’Ambiente come La Notizia, e per questo dopo la tragedia della Marmolada nessuna tv ci ha chiesto un commento, riservando l’argomento ai cronisti più ferrati sulla transizione ecologica, malgrado qualche pinzillacchera tipo aver spinto quell’opera assurda che è il Tav.

Purtroppo l’ambientalismo alle vongole che va di moda nel nostro Paese ci farà versare per qualche giorno la dose consigliata di lacrime, ma passata l’onda emotiva per le morti sul ghiacciaio bisognerà tornare alla vita di sempre.

Qui infatti scorrazzano liberamente, a sprezzo del ridicolo, leader politici che osano definirsi ecologisti e poi approvano il ritorno delle perforazioni nell’Adriatico per estrarre gas, illudendoci che un 2-3% di produzione in più abbassi l’extra costo della bolletta, arpionato senza colpo ferire da una delle più grandi speculazioni della storia.

Sono gli stessi che ripetono a pappagallo i dati “farlocchi” della Confindustria su quanti posti di lavoro si perdono – 70mila, ma ieri la Lega li ha aumentati a 75mila e domani qualcuno offrirà di più – trasformando la produzione di auto a motore termico in elettriche o ad altre alimentazioni sostenibili, come l’idrogeno.

Sempre gli stessi che hanno osteggiato in ogni modo le nuove forme di micro-mobilità Green, come i monopattini, rivendicando il fascino del rombo del motore, in una visione novecentesca, tanto nostalgica quanto superata. Produrre noi le batterie è un errore, dice con sicumera la Meloni, perché le producono in Cina, dove hanno iniziato più di vent’anni fa, quando potevamo farlo anche noi, comprando a poco le materie prime necessarie, ma allora i governi di destra e di sinistra preferivano regalare miliardi ai costruttori di auto, che se li mettevano in tasca come dividendi.

E ora che c’è da recuperare, gli stessi statisti frenano ancora, ignorando i fiumi a secco, la desertificazione che avanza, il caldo terribile che quest’anno è cominciato prestissimo, e le precipitazioni di tipo monsonico che molto probabilmente seguiranno.

Siamo di fronte a un disastro annunciato, che una politica miope non vuole vedere, accontentandosi di qualche beneficio elettorale immediato, com’è nello stile di una classe dirigente di corto respiro. Pagliacci che danno la colpa della crisi idrica alla dispersione degli acquedotti (che c’è sicuramente), o si inventano di sana pianta che i ghiacciai nel mondo stanno aumentando, pur di non riconoscere gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici.

Signori a cui tanti elettori danno incredibilmente credito, ma che almeno davanti ai morti della Marmolada dovrebbero farsi qualche domanda. E se non ce la fanno a darsi una risposta, almeno non far finta di essere dispiaciuti.