L'Editoriale

Le riforme già in mano ai giudici

Non c’è cosa peggiore del fare la politica in tribunale. E, allora, le riforme possono aspettare

Non c’è cosa peggiore del fare la politica in tribunale. Senza scomodare i capisaldi del pensiero liberale e l’ineludibilità della separazione dei poteri come garanzia di un sistema democratico, lo spettacolo che va in scena in questo Paese è da decenni lo stesso. Più la politica è debole più tenta di usare le toghe per prevalere, mettendo così una seria ipoteca sulla possibilità che un giorno possa essere la magistratura a fare politica. E a farla con i mezzi sicuramente persuasivi di cui dispone. Il rischio di un tale scenario è noto, la lezione del 1992 l’abbiamo imparata ma alla fine si casca sempre nello stesso punto. E al comitato del No al referendum non viene in mente niente di meglio che annunciare i ricorsi in tribunale se il Sì passerà con le discutibili schede degli italiani all’estero. Una vicenda oggettivamente non trasparente, sulla quale una politica seria – tanto sul versante del Sì quanto su quello del No – dovrebbe pretendere dalle istituzioni la massima chiarezza. Già approviamo una riforma costituzionale disegnata da un Governo frutto delle alchimie di Palazzo. Se la parola finale toccasse ai giudici sarebbe davvero il colmo.