Il partito che è riuscito a passare dal 40% del 2014 alla disfatta delle elezioni politiche del 2018 ha messo all’angolo chi si è preso sulle spalle un tale disastro e riportato il Pd al governo del Paese. Da quello che resta di una Sinistra imbattibile nell’autolesionismo c’era da aspettarselo. La mossa di Zingaretti, che ieri si è dimesso dalla segreteria del Pd (leggi l’articolo), non è però una resa incondizionata, perché chi pensa che il governatore del Lazio molli così facilmente non lo conosce affatto.
Nella decisione del segretario c’è invece una lezione di tattica, che l’ha portato a fare oggi un passo indietro per muoverne due in avanti domani. O almeno questo è l’obiettivo, perché non dobbiamo dimenticare chi ha costruito le ultime liste elettorali dei dem: quel Renzi che nonostante si sia portato in Italia Viva una cinquantina di deputati e senatori voltagabbana ha ancora a via del Nazzareno un cospicuo numero di quinte colonne. Per questo i giochi sulla prossima leadership sono apertissimi, e chi scommette sull’incoronazione di Bonaccini si ricordi di quante volte chi entra Papa in Concilio ne esce cardinale.
Detto questo, lo stop del segretario Pd è la naturale conseguenza di una paura fottuta nel suo partito: svegliarsi un mattino con Conte al comando, in un rassemblement con i 5S capace di contrapporsi al campo largo delle destre, dove il Partito democratico finirebbe per diluirsi in un’altra cosa. Una federazione tra le due forze politiche – se non una vera e propria fusione – che però è più lontana di quello che lo stesso Zingaretti immaginava aprendo la sua Giunta regionale al Movimento in cambio dello scranno della Raggi.
Un conto fatto senza l’oste degli attivisti M5S, a cui potete togliergli tutto (e in parte è già stato così) ma non la sindaca. Un fronte sul quale il numero uno del Pd non ha sfondato, nonostante le esche messe a destra e manca anche tra o piani alti dei Cinque Stelle. Un errore grave, nei modi e nei tempi, dopo l’incapacità di portare via un solo senatore a Renzi quando c’era da salvare Conte a Palazzo Chigi. E a furia di sbagliare Zingaretti (per ora) ci ha rimesso la poltrona.