L'Editoriale

L’oblio europeo

Lo chiamano realismo, ma è un lento suicidio morale. Perché l'Unione europea non è più la risposta ai totalitarismi.

L’oblio europeo

Ieri l’Unione europea si è messa in posa davanti alla propria storia, ha intonato l’inno alla gioia e si è autoproclamata erede della Resistenza. Ma mentre celebrava la liberazione dal nazifascismo, tradiva le sue radici più profonde. Il progetto europeo nacque come argine alla barbarie: mai più campi, mai più persecuzioni, mai più guerre. Ma oggi finanzia l’Egitto di al-Sisi con 7,4 miliardi in cambio del controllo migratorio, firma memorandum con la Tunisia mentre le sue forze di sicurezza espellono migranti nel deserto senza acqua né cibo, delega alla guardia costiera libica – sostenuta con almeno 465 milioni – il respingimento verso centri di detenzione dove si tortura, si stupra, si uccide. L’autocrazia è diventata partner, la democrazia una clausola facoltativa.

In nome della stabilità, l’Europa si arma. La spesa militare nel continente ha raggiunto i 693 miliardi di dollari nel 2024, con la Germania al 2% del PIL e la Polonia al 4,2. Il Fondo europeo per la difesa muove 8 miliardi per finanziare l’industria bellica, mentre il “ReArm Europe Plan” prevede prestiti fino a 150 miliardi per investimenti militari. Nata per superare la logica dei blocchi, l’Ue oggi si pensa come potenza. E la pace diventa propaganda.

All’interno, mentre la Polonia abolisce i diritti delle persone Lgbt e l’Ungheria vieta la “promozione dell’omosessualità”, Bruxelles balbetta. Le procedure d’infrazione non bastano, l’Articolo 7 è paralizzato da anni. Frontex resta attiva anche dopo il naufragio dell’Adriana, mentre il Patto su migrazione e asilo legalizza i respingimenti e normalizza la detenzione dei richiedenti asilo, compresi minori. Intanto, alle frontiere esterne, la violenza è sistematica: dai pushback greci ai muri polacchi, dal Mar Egeo ai deserti nordafricani, l’Europa si chiude mentre finge di proteggere.

Lo chiamano realismo. Ma è un lento suicidio morale. Perché un’Unione che scambia i diritti per accordi e la dignità per quote di gas non è più la risposta ai totalitarismi: è parte del problema.
E allora sì, ha celebrato il 9 maggio. Solo con la memoria viva di ciò che abbiamo promesso di non diventare mai più.