L’avvocato di Salvatore Buzzi ha festeggiato così: “A Roma c’era una corruzione marcia ma non era mafia”. Per il suo assistito, insieme all’ex terrorista Massimo Carminati e agli altri condannati, si avvicina la scarcerazione, ma il sistema portato alla luce dalla Procura guidata all’epoca da Giuseppe Pignatone era di una tale gravità che c’è poco da criticare questi magistrati, o definirli sconfitti, e mafia o non mafia la Capitale è stata liberata da un putrido bubbone.
L’associazione comunque dimostrata tra criminali e colletti bianchi ha inquinato per anni la vita amministrativa, politica ed economica della città, con effetti dirompenti quanto le bombe di Capaci e via D’Amelio, senza però la reazione emotiva che quegli attentati suscitarono contro cosa nostra, contribuendo involontariamente a scuotere le coscienze fino all’arresto dei boss.
Sin dai giorni in cui scoppiava il caso di mafia capitale erano emersi dubbi proprio sull’aggravante mafiosa, ma i magistrati, la politica non collusa con quel marciume, i romani onesti non si sono mai fermati nel chiedere il massimo della pena per chi ha prosperato nel cosiddetto mondo di mezzo, cioè l’area grigia in cui transitavano minacce e mazzette, alimentando il malaffare che ha ridotto Roma nello stato penoso da cui potrà riprendersi solo tra anni e con enormi sacrifici.
A due giorni da uno sciopero generale che prende di mira un modello faticoso di buona amministrazione, i sindacati che sparano sulla Raggi mentre Buzzi festeggia sono l’immagine perfetta di questo Paese che quando fa un passo avanti poi ne aggiunge subito due indietro.