Ormai è questione di poco: l’invasione della Striscia di Gaza è l’epilogo che nessuna ragione ha potuto impedire. Il prezzo sarà altissimo per i palestinesi che nulla c’entrano con Hamas, per gli ostaggi israeliani e soprattutto per quello che verrà dopo, quando la reazione sarà terribile nel mondo arabo e inevitabile pure in casa nostra, dove non sarà la chiusura di qualche frontiera a fermare i fondamentalisti islamici radicati in Europa. Qualunque sarà la forza usata da Tel Aviv, abboccare all’amo di chi ha ordinato la strage nei kibbutz del 7 ottobre giustificherà l’incendio di tutto il Medioriente, riproponendo lo stesso scenario visto dopo l’11 settembre.
Allora gli americani vendicarono l’abbattimento delle Twin Towers colpendo insieme ad Al Qaeda migliaia di civili, col risultato di far nascere l’Isis e quello che ne è seguito. Con la jihad e la democrazia esportata a suon di bombe, si è devastata quel po’ di economia che sorreggeva grandi Paesi di Asia e Africa, attivando masse di migranti sempre più difficili da gestire. Un successone, insomma, che però non ci ha insegnato niente. E se è vero che non è facile discutere con i tagliagole, è altrettanto vero che l’Onu, l’Europa e i singoli Stati – Italia compresa – hanno fatto pochissimo sul fronte diplomatico.
Da Washington a Pechino ci si è fermati al minimo sindacale, con appelli e inviti alla moderazione mentre sottobanco si collocavano truppe e si vendevano armi. E la nostra intellighenzia, o quella che si ritiene tale, ha derubricato la parola Pace a lassismo o, peggio, a complicità col terrorismo. Nulla di più falso, e di più folle, di fronte a un conflitto che allargandosi non risparmierà nessuno.
Perché il fatto che lo scontro tra Mosca e Kiev sia sparito dalle tv non vuol dire che sia finito. Come restano allarmanti i golpe in Centro Africa e la crisi tra Usa e Cina su Taiwan. Tutte bombe collegate a una stessa miccia, che aspetta l’innesco giusto per far saltare il mondo, mentre noi stiamo alla finestra sperando in non si sa cosa, senza premere sui governi perché battano i pugni per fermare l’escalation militare invece di limitarsi ai soliti minuetti di dichiarazioni e passerelle inutili.