Il crac delle quattro banche regionali che ha rovinato migliaia di obbligazionisti non fa emergere solo l’inadeguatezza del sistema e le falle nella rete di protezione del credito. Un elemento che si trova pochissimo sui giornali e sul dibattito politico economico è l’assoluta incapacità della Banca d’Italia nella vigilanza. Come se toccare il totem di via Nazionale porti sfiga o, peggio, sia espressamente vietato dalle regole non scritte dei grandi poteri nazionali. Se c’è un assoluto responsabile del disastro questo è però lapalissianamente il carrozzone di Palazzo Kock, una macchina che dopo il passaggio della politica monetaria alla Bce si è ridotto a poco più di un centro studi. In questo santuario – dove a partire dal governatore Visco si ignorano persino gli obblighi di finanza pubblica sul tetto agli stipendi – una pletora di dipendenti con sedi in ogni angolo del Paese fa poco e niente, ma brucia più di un miliardo di spese l’anno. Nemmeno i geni della spending review, tutti rottamati e finiti a scrivere libri sui loro fallimenti, sono riusciti a mettere l’istituto centrale davvero nel mirino. Una banca che chissà perché non sembra igienico toccare.
L'Editoriale