Per la politica italiana non ci sono temi più rognosi di quelli etici. Divisivi, sostenuti da supporter generalmente integralisti, che si parli di diritti civili o di fine vita si entra in un ginepraio ideologico di cui il Parlamento si occupa solo se proprio non può farne a meno. Persino per il divorzio e l’aborto è stato necessario forzare il Palazzo, attraverso referendum che sono nella storia del Paese. Così siamo rimasti indietro rispetto a Stati meno inclini all’ipocrisia e a inchinarsi in Vaticano.
Per ogni passo avanti, anche l’ultimo che risale alla legge Cirinnà sulle unioni civili, è sempre servita una forte spinta culturale e di parte della società civile. La frangia conservatrice e in qualche caso sospettamente ortodossa (vedi i simboli sacri ostentati da Salvini) è d’altra parte rumorosa e influente, al punto da accendere potenti riflettori su rivendicazioni persino oscurantiste, come abbiamo visto a marzo scorso al congresso delle famiglie di Verona. La politica, come ciascuno di noi di fronte a circostanze che possono capitare casualmente, non può però fuggire all’infinito.
E la sentenza di ieri sul caso dj Fabo-Cappato inchioda le Camere alla loro responsabilità. Il diritto di scegliere come gestire il fine vita in situazioni particolari deve essere regolato per legge, affinché tutti i cittadini abbiano la stessa dignità in un momento tanto delicato. A nessuno va imposto di andarsene infrangendo le proprie convinzioni religiose, ma altrettanto nessuno va condannato all’inferno in terra perché la politica chiude gli occhi solo per non rischiare di perdere qualche consenso.