L'Editoriale

Più tempo alla vita che al lavoro

Pure il mito del posto fisso è finito. Secondo il Formez, non ci sono candidati a sufficienza nemmeno per le pubbliche amministrazioni.

Più tempo alla vita che al lavoro

Brutte giornate per i tuttologi – ex virologi, strateghi di guerra o sociologi del lavoro alla bisogna – che strillano in tv contro il Reddito di cittadinanza, presunto colpevole per la mancanza di personale nei ristoranti, nelle spiagge e ovunque c’è da ammazzarsi di fatica per due soldi.

Secondo il Formez, non ci sono candidati a sufficienza nemmeno per le pubbliche amministrazioni, dove con poche eccezioni la fatica non ha mai ammazzato nessuno. Dunque, pure il mito del posto fisso è finito, a dimostrazione che non sono i sostegni ai poveri la causa della fuga da molte delle occupazioni tradizionali.

Esattamente com’è una balla la storiella dei giovani sul divano, come dimostrano i tantissimi ragazzi che fanno qualunque cosa all’estero. Prima ancora che al guadagno, la forza lavoro oggi ha altre priorità, che partono dal desiderio di dare più tempo alla vita piuttosto che la vita per la fabbrica o l’ufficio. C’è poi un generale aumento della formazione, per cui si cercano posizioni di qualità, e una dirompente fascinazione per i canali digitali.

Il mercato del lavoro, insomma, è profondamente cambiato, anche per effetto della pandemia, e per questo quasi nessuno accetta più di essere sfruttato in cambio di salari ridicoli, oggi ancora minori per l’inflazione, senza neppure la speranza di un’esistenza nuova che spinge tanti ad accettare a Londra, per esempio, gli stessi lavoretti che in Italia si rifiutano. Ecco perché mancano camerieri e talvolta schiavi. E chi se la prende col Reddito di cittadinanza o non capisce o mente.