L'Editoriale

La politica imbullonata a Telecom

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La politica imbullonata a Telecom

Le grandi economie europee possono ancora definirsi liberali? Già prima del Covid la situazione era disperata. Gli interessi nazionali avevano creato una situazione asimmetrica, con Paesi come l’Italia soggetti alle scorribande di chiunque volesse accomodarsi a fare shopping, mentre da altre parti, a cominciare dalla Francia, lo Stato non cedeva un’unghia, infischiandosene pure delle regole Ue (il caso Saint Nazaire-Fincantieri resta emblematico).

Poi è arrivata la pandemia, e interi settori industriali in tutto il mondo sono andati in crisi, diventando facilmente scalabili. Perciò i governi li hanno blindati in attesa di tempi migliori, anche senza bisogno di giocare il jolly del Golden Power, con cui qui decidiamo chi può investire in Italia e chi no. Uno strumento sacrosanto nel caso di ingerenze estere in comparti strategici per la sicurezza e lo sviluppo nazionale, ma che non si capisce bene a che titolo si possa invocare se il controllo di un Gruppo industriale è conteso da un azionista francese o americano.

Quello che conta, e che una politica liberale dovrebbe presidiare, sono gli investimenti previsti, i livelli occupazionali, la capacità di attrarre competenze e tecnologie, il presidio dei servizi dalle potenziali ingerenze di intelligence straniere. Invece le azioni neppure più si contano – o si pesano – come ancora ieri hanno sospettato gli investitori che non si sono allineati all’offerta ipotizzata dal Fondo americano Kkr per il controllo della Telecom.

Evidentemente il mercato pensa che la politica per qualche motivo non permetterà questa operazione, facendo prevale l’interesse di chi è più ammanicato sugli interessi di tutti. E questo proprio in un’azienda che in passato è stata condizionata come nessuna da partiti e poteri finanziari, a cominciare dalla disastrosa privatizzazione degli anni ’90.

All’epoca – incidentalmente c’era Mario Draghi al Tesoro – la politica cedette l’ex monopolista della telefonia a una cordata che dilapidò un patrimonio, innescando quella spirale del debito che ha condizionato la crescita dell’azienda. Ora lo stesso Draghi deciderà con Macron se far vincere gli americani o i francesi. E questo lo chiamano mercato?