L'Editoriale

Rai, l’Istituto Luce è servito

Altri due o tre che se ne vanno e la Rai potrà sostituire il logo con quello dell’Istituto Luce.

Rai, l’Istituto Luce è servito

Altri due o tre che se ne vanno e la Rai potrà sostituire il logo con quello dell’Istituto Luce. O direttamente con la faccia di Bruno Vespa, icona di Telemeloni e dell’egemonia culturale delle destre, con tanti saluti a Lucchini, chiunque esso sia, che per la ministra Santanchè ha diretto il Gattopardo mentre Visconti dormiva.

Così, dopo una sfilza di abbandoni, sarebbe pronto a lasciare Viale Mazzini pure Amadeus, deciso a riprendersi la faccia dopo averla persa con gli agricoltori all’ultimo Sanremo, invitati ufficialmente sul palco e poi bloccati dai giannizzeri del governo, affinché non si offrisse la scena a una protesta che turbava la narrativa delle destre brave a risolvere i problemi del Paese. Una balla che circola tragicamente su Mediaset, azienda privata con un conflitto d’interessi monumentale. Ma il servizio pubblico dovrebbe essere un’altra cosa, se non altro perché a pagarlo siamo tutti noi cittadini, e perciò il pluralismo nell’informazione non dovrebbe mai essere messo in discussione.

La realtà, invece, è tutt’altra, e chi come il sottoscritto non va a baciare la pantofola ai “direttori” Corsini, Orfeo e compagnia, anche se dirige un giornale che campa da 12 anni senza contributi pubblici, è escluso da ogni trasmissione, malgrado dilaghino i soliti opinionisti mainstream o una sfilza di personaggi con l’unico merito di essere amici degli amici. Questa è la televisione che rincoglionisce gli italiani, facendo vedere bianco quello che è nero, e che mette in croce gli unici spazi di libertà rimasti, come Report, mentre fa ponti d’oro a Giletti, o ai campioni dei bassi ascolti Pino Insegno e Nunzia De Girolamo, rispettivamente amico ostentatissimo della Meloni il primo ed ex ministra Pdl e moglie del Pd Boccia (meglio avere il doppio passaporto, non si sa mai) la seconda.

Uno spettacolo che fa contorcere il cavallo di Viale Mazzini, abituato a vederne tante anche negli anni dell’occupazione della sinistra. Ma se allora si toccò il fondo con Baudo e Mike Bongiorno andati via per far nascere la tv privata di Berlusconi, ora ci tocca pure scavare, perché i conduttori di show e quiz sono fatti fuori per far morire la tv di Stato.