L'Editoriale

Se non ora, quando?

Se non ora, quando?

Se non ora, quando?

In un tempo in cui la autocrazie sono improvvisamente di moda e l’Italia è governata da una presidente del Consiglio che accarezza l’idea di potere essere sfrontata come i suoi omologhi più autocrati è un diritto dissentire. Forse perfino un dovere. Sì, un dovere. 

È un dovere riportare questo Paese fuori dalle secche dell’economia che stagna, quasi marcisce, sotto le martellate delle distrazioni inutili. È un dovere non ritenere normalizzabile una compagine di governo che si lambicca nei messaggi privati di gruppo sognando di punire gli intellettuali. È un dovere opporsi, opporsi con tutte le forze, a chi succhia la sua forza bastonando le minoranze, sognando di riuscire a fare ancora peggio. 

Se c’è un limite invalicabile della sopportazione è sicuramente l’ipocrisia di due guerre giocate sulla schiena di vittime che tra poco verranno buttate. Hanno passato mesi a sventolarle come giustificazione per vomitare armi e ora diventeranno pacifinti – loro sì – pronti a tirare la catena. 

Il governo guidato dalla presidente del consiglio Giorgia Meloni ha superato i limiti dell’avversione politica esondando nella battigia dei diritti umani, del diritto internazionale e della compassione umana. Dissentire non è più un’opzione conveniente, dissentire è un dovere civico in nome della Costituzione. Se c’è un tempo per la piazza, la piazza come concentrazione del dissenso, il tempo è questo. 

Riprendendo un indovinatissimo slogan verrebbe da scrivere: se non ora, quando?