Andare in guerra per fare la pace (fiscale). Sembra un paradosso, ma è esattamente quanto è successo ieri tra Cinque Stelle e Lega, ormai costrette a declinare in atti concreti gli impegni assunti solo genericamente nel contratto di Governo. Ne è venuto fuori un inevitabile confronto, che per quanto enfatizzato dalle indiscrezioni del solito manipolo di avvelenatori di pozzi, non ha mai messo a rischio la tenuta dell’Esecutivo gialloverde. Le differenze tra Di Maio e Salvini però ci sono, e in circostanze come questa si vedono, eccome! Il Movimento ha tolto di mezzo concettualmente il problema del tetto sotto il quale sarà possibile fare pace con il Fisco, e anziché farne una questione di quantum ha detto sì a chi ha dichiarato il giusto e poi non è riuscito a far fronte alle tesse, mentre è stato un no per chi ha evaso ben consapevole di farlo. Dall’altra parte, il Carroccio ha tenuto duro sulle dimensioni e l’ampiezza di questo perdono tombale con il Fisco, difendendo una delle sue bandiere elettorali ma anche una concreta esigenze di tanti artigiani e piccoli imprenditori, che di cartelle esattoriali, multe e sanzioni ne hanno sul groppone in quantità. In questo calderone c’è finito poi il taglio alle pensioni d’oro e tanto altro, facendo naturalmente entrare in fibrillazione il ministro delle Finanze Tria e tutti gli sherpa che hanno limato fino all’ultimo il provvedimento arrivato nella sera in Consiglio dei ministri.
In attesa di vedere quale sarebbe stato il punto di equilibrio nella Manovra, raggiunto dopo il vertice del pomeriggio con i vicepremier, poco prima mi è capitato d’intervistare il candidato alla segreteria del Pd, Francesco Boccia, ospite del programma Gli inascoltabili, su Radio Italia anni 60. A Boccia ho chiesto se il Pd, o perlomeno quello che lui vorrebbe guidare, potrebbe mettersi mai dalla parte dei milioni di italiani che aspettano la pace fiscale, penalizzati da ipoteche e fermi amministrativi scattati magari per una semplice infrazione stradale. La risposta è stata un orgoglioso no, perché il Pd non va dove batte l’onda, ma difende strenuamente le regole, soprattutto se a infrangerle sono gli evasori. Persino in Germania – roccaforte del rigore nei conti pubblici – quest’onda di cui parla Boccia travolge però chi non riesce più a mediare tra le regole (diventate inapplicabili) e le vere esigenze dei cittadini impoveriti dalla crisi o spaventati dagli effetti che l’austerità produce in tutta Europa. Da uno dei più autorevoli candidati alla segreteria Dem ricaviamo così che il massimo orizzonte di questo partito non è riconquistare le masse, ma vincere nel piccolo cenacolo di elettori evidentemente appagati della loro condizione economica. Così il confronto tra M5S e Lega – o la guerra senza esclusione di colpi, se vogliamo prendere per buona la lettura catastrofista di Repubblica & C. – fanno meno paura, perchè c’è la prova che all’attuale Governo non c’è nessunissima alternativa.