Forbita discussione di ieri a microfoni spenti in uno studio tv. La decisione della Corte dei diritti umani su Provenzano – per i mafiosi come lui “Zu Binnu” – è civilissima, ma impossibile da far digerire a un Paese come il nostro, capace di ragionare solo con la pancia e privo di cultura giuridica. Anzi, privo di cultura, punto. E giù discorrendo sui doveri dello Stato che rispetta sempre l’uomo, l’umanità, i princìpi del diritto e la collana completa dei luoghi comuni. Ovviamente si tratta di perfette corbellerie, frutto di menti così raffinate da aver perso il contatto con la realtà. Non scrivo questo perché da siciliano ho dedicato molti anni di professione a occuparmi anche di mafia: purtroppo la specialità della casa in una regione dove il sacrificio di Falcone, Borsellino, Livatino, La Torre, Costa, Chinnici e molti altri non è bastato per sconfiggere i clan. Penso però che la Corte ha perso un’occasione per non perdere credibilità e apparire grottesca, perché il diritto si basa su un patto sociale che i mafiosi non hanno mai riconosciuto, provando a sovvertirlo con ogni mezzo. Quello di Cosa nostra, come l’antistato imposto a fucilate da ‘ndrangheta e camorra, è un fenomeno di una tale brutalità che senza regole straordinarie non avrebbe dato scampo alle istituzioni democratiche. Se Strasburgo, in punta di diritto, avrà dunque le sue ragioni, va spiegato che questo stesso diritto è stato negato col tritolo da chi oggi lo invoca. E far pagare lo Stato per aver reso solo un grammo di giustizia a chi ha sparso tonnellate di ingiustizia non è una beffa, ma una provocazione.
L'Editoriale
Su zu Binnu una decisione grottesca
La sentenza della Corte dei diritti umani su "Binnu" Provenzano