L'Editoriale

Tra Orbán e Ranucci

Tra Orbán e Ranucci

La passeggiata romana di Viktor Orbán è stata illuminante. Non tanto per le arcinote posizioni del primo ministro ungherese, leader di una nazione dove lo Stato di diritto scricchiola e sempre più critico con l’Unione europea, nella quale il suo Paese non avrebbe mai dovuto entrare. Quanto piuttosto per aver acceso l’ennesimo faro sulle camaleontiche acrobazie di Giorgia Meloni, abilissima a vestire una mise per ogni occasione: orbaniana con Orbán, europeista con von der Leyen, atlantista con Trump.

Anche quando il suo ospite d’onore spara l’ennesima bordata contro Bruxelles e Washington. “L’Ue non conta nulla”, taglia corto l’alleato di Giorgia, aggiungendo: “Trump sbaglia sulle sanzioni, vado da lui per fargli togliere le sanzioni”. Una scudisciata, senza citare la padrona di casa, alla politica estera italiana: favorevole al Piano di riarmo miliardario proposto da Bomb der Leyen e sdraiata pure sulle sanzioni alla Russia impallinate dal premier ungherese. Eppure, nella nota ufficiale di Palazzo Chigi, Giorgia non ha avuto nulla da eccepire. T

anto, tra TeleMeloni, Mediaset e il lungo elenco di giornali amici, a parte questo giornale e pochi altri, nessuno le chiederà conto del doppio, anzi del triplo gioco che sta conducendo sui tavoli nazionale e internazionale. Poi non c’è da stupirsi se trasmissioni come Report, contro cui ieri si è scagliata perfino l’Ungheria proprio mentre Orban era in Italia, diano tanto fastidio al potere. Del resto un’Authority indipendente si può limitare con le nomine politiche. La stampa libera alla Ranucci, invece, non la fermano neppure le bombe.